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Pagina:Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu/457

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atto secondo. — sc. iv. 447

Claudio.                                                      Piston dettami
L’ha.
Bonifacio.            Guata bestia! mi prega di grazia
Ch’io non vel dica; poi vien’egli a dirvela.
Claudio.Così ha pregato me ancora, che tacito
Io me ne stia, nè con altri il comunichi:
Ma non gli credo.
Bonifacio.                              Sopra me credetegli,
Perch’egli è vero; nè sì poco giongere
Potevate più tosto, che veduto le
Avreste entrar là dentro.
Claudio.                                          Voi vedute le
Avete?
Bonifacio.             Con questi occhi.
Claudio.                                          Raffermandomi
Voi d’averle vedute, posso crederlo.
Chi è con lor? Una serva almen non abbiano?
Ben è mutato in tutto messer Lazzaro
Di natura. Le mosche che volavano
In casa, già in sospetto lo ponevano;
Nè mai sarebbe uscito se Flaminia
Non avea prima chiavata in la camara.
Bonifacio.Chiavata?
Claudio.            Io parlo onesto: ora intendetemi
Ancora onestamente. E poscia a cintola
Ne portava la chiave, nè fidavasi
Della moglier, e appena di sè proprio.
Sì che mi par sentir come un miracolo,
Che senza la sua guardia ora lasciatala
Abbia venir qui, dove vecchi e giovani,
Tutti generalmente dati all’ozio,
Non hanno altro pensier nè altro esercizio,
Che tuttavía sollecitar le femmine:1
Le quai, più qui che in altro loco libere
E di dir e di far ciò ch’elle vogliono,
Li forastieri2 ai lor costumi avvezzano,
Da non poter Lucrezia nè Virginia,
Se ci venisson, servar pudicizia.
Bonifacio.Ah! non dite cotesto, chè grandissimo


  1. Noti chi fa suo studio le cagioni de’ costumi e de’ vizi degli uomini.
  2. La gente forestiera, volendosi significare in ispecie le donne, come mostrano i versi seguenti.