[St. 47-50] |
libro i. canto xv |
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Cridava il conte in voce sì orgogliosa,
Che non sembrava de parlare umano.
Trufaldino avia l’alma timorosa,
Come ogni traditore ha per certano;
E vista avia la forza valorosa,
Che mostrata avea il conte sopra al piano;
Chè sette re mandati avia dispersi,
Rotti e spezzati con colpi diversi.1
E già pareva a quel falso ribaldo
Veder la rocca de intorno tagliata,
E roïnar il sasso a giù di saldo
Adosso ad Agricane e sua brigata,
Perchè vedeva il conte de ira caldo,
Con gli occhi ardenti e con vista avampata.
Onde a un merlo se affaccia e dice: Sire,
Piacciati un poco mia ragione odire.
Io non lo niego, e negar non sapria,
Ch’io non abbia ad Angelica fallito;
Ma testimonio il celo e Dio me sia
Che mi fu forza a prender tal partito,
Per li duo miei compagni e sua folìa,
Benchè ciascun da me si tien tradito;
Chè vennerno con meco a questïone,
Et io li presi, e posti li ho in pregione.
E benchè meco essi abbiano gran torto,2
Da loro io non avria perdon giamai;
E come fosser fuora, io serìa morto,
Perchè di me son più potenti assai;
Onde per questo io te ragiono scorto
Che mai qua dentro tu non intrarai,
Se tua persona non promette e giura
Far con sua forza mia vita sicura.