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106 | il figlio del reggimento. |
— Non sono proprio nato per far le parti terribili, via, — dissi tra me uscendo dalla tenda; — non c’è altro che aspettare la risposta da Padova, e poi.... e poi vedremo ciò che sarà da fare. —
Due giorni dopo ci accampavamo in vicinanza di Mestre, dove restammo fermi quasi un mese, fino alla stipulazione dell’ultimo armistizio, vale a dire fino a quando ritornammo indietro verso Ferrara.
Passano cinque giorni, ne passano sette, ne passano dieci, e la risposta da Padova non arriva. Si scrive un’altra volta, s’aspetta altri cinque giorni, altri sette, altri dieci, e nessuna risposta. — Che si siano smarrite le lettere? io pensava. Niente di più facile con questo bel servizio di posta! O che l’abbiano ricevute e, assorti in cure più gravi, non se ne sian dati per intesi? Anche questo è possibile. O che, bandita la voce del fatto, la matrigna, pur riconoscendo dai contrassegni che il ragazzo in quistione era il suo, abbia fatto orecchie da mercante, contentona che l’esercito liberatore abbia liberato anche lei da un ospite importuno? Ah! questa è la più probabile. Anzi la dev’essere andata così di sicuro. E in questa certezza non si scrisse più nè a Padova nè altrove. E con che pro si sarebbe scritto se non eravamo riusciti nè colle buone, nè colle cattive a strappar dalla bocca di Carluccio nè il cognome suo, nè quello della matrigna, nè la casa, nè il mestiere, nè qualsivoglia altro indizio per cui riuscisse possibile di scuoprire la sua famiglia?
V.
Carluccio continuò a restare con noi. Si provvide subito a rinnovargli i vestiti, perchè i suoi, già dapprima ricisi e rattoppati da tutte le parti, oramai gli si