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Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/67

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CANTO DUODECIMO. 53

LXV.


     Segue egli la vittoria, e la trafitta
Vergine, minacciando, incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
516Movendo, disse le parole estreme:
Parole ch’a lei novo un spirto ditta;
Spirto di fe, di carità, di speme:
Virtù ch’or Dio le infonde: e se rubella
520In vita fu, la vuole in morte ancella.

LXVI.


     Amico hai vinto; io ti perdon: perdona
Tu ancora, al corpo no che nulla pave,
All’alma si: deh per lei prega, e dona
524Battesmo a me, ch’ogni mia colpa lave.
In queste voci languide risuona
Un non so che di flebile e soave
Ch’al cor gli scende, ed ogni sdegno ammorza,
528E gli occhj a lagrimar gli invoglia e sforza.

LXVII.


     Poco quindi lontan nel sen del monte
Scaturia, mormorando, un picciol rio.
Egli v’accorse, e l’elmo empiè nel fonte,
532E tornò mesto al grande uficio e pio.
Tremar sentì la man, mentre la fronte,
Non conosciuta ancor, sciolse e scoprío.
La vide, la conobbe; e restò senza
536E voce, e moto. Ahi vista, ahi conoscenza!