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308 | le confessioni d’un ottuagenario. |
come di fuoco nascosto, sopracciglia sottilissime, e un bocchino poi, un bocchino da dipingere o da baciare. Voce rotonda e sonora, di quelle che non tintinnano dal capo, ma prendono i loro suoni dal petto, dove batte il cuore; un andare, ora quieto ed eguale come di persona che discerna poco, ora saltellante e risoluto come d’una scolaretta in vacanza, adesso muta, chiusa, pensierosa, di qui a poco aperta, ridente, se volete anche, ciarliera; ma già le ciarle essa le aveva perdute e ben presto: si vedeva già a quattordici anni che altri pensieri la preoccupavano tanto da farle restar torpida la lingua. Così stava da vera donnetta in conversazione; uscita poi, e sciolta dai rispetti umani, i diritti dell’età si impadronivano di quel corpicciuolo ben tornito, e gli facevano fare le più gran capriole, i più bizzarri contorcimenti del mondo. Allora aveva del ragazzaccio più del bisogno; come invece in sala si atteggiava a donnina languida e leziosa. A questo modo me la ricordo in quegli anni di transizione, ora bambina affatto ed ora donna matura; ma in quanto all’animo, al temperamento, i difetti della bambina si disegnavano così esatti nella donna, che non mi accorsi certamente del punto in cui questi supplirono a quelli. Gli uni forse non furono che la continuazione degli altri, e il loro sviluppo naturale.
Eccomi ora ad un punto, dal quale ebbe a cominciare un mio nuovo tormento, o meglio ad accrescersi uno già incominciato. Circa a quel tempo uscì di collegio il signor Raimondo di Venchieredo, e venne ad abitare nel suo castello vicino a Cordovado; ma siccome non toccava ancora gli anni della maggiore età, così un suo zio materno di Venezia che gli era tutore, lo affidò alla sorveglianza d’un precettore, d’un certo padre Pendola, che venuto a Venezia non si sapeva donde, erasi acquistato una grandissima opinione di erudito. Questo abate misterioso