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50 | capitolo secondo. |
avviò verso l’uscio che metteva in un suo freddo e umido studiolo.
“Scusi, sa„, fece Maironi, sotto voce.
No, non potevano essere affari del Municipio, quella non era la solita voce di Piero Maironi.
“Qui non entra nessuno?„ diss’egli.
Don Giuseppe chiuse l’uscio a chiave e rispose:
“Ecco„.
Dubitava, per certe voci, che gli Scremin fossero un po’ squilibrati nelle finanze. Una confidenza circa questo punto? O circa la infelice reclusa? Mentre fantasticava così, Piero Maironi, seduto accanto a lui sul vecchio logoro canapè rosso, stava silenzioso a capo chino. “Don Giuseppe„, cominciò finalmente e stese una mano al prete senza guardarlo, senza volgere il viso, “io sono venuto da Lei come un figlio„.
Don Giuseppe gli prese la mano, gliela strinse commosso, con un tacito moto delle labbra, con un lampo affettuoso del viso.
“Io ho per Lei la riverenza che hanno tutti; sì sì, me lo lasci dire! Ma poi ci ho anche un’affezione particolare e Lei ne sa il perchè. Ho un bisogno immenso di Lei, adesso„.
Il viso del candido, umile prete si colorò di meraviglia.
“Bisogno di me!„