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262 il ragazzo


Camilla. Ti dico che tu vada al tuo camino, m’hai inteso? io.

Valerio. Che! Non ti scoprirò io?

Camilla. Togliti di qua, tristo che tu sei! Tu mi vuoi assassinare nella strada?

Valerio. Oh Dio! oh Dio! Che è quel che io veggio? Non è questa Camilla?

Camilla. Che parla costui di Camilla? Tien pure mente che ei mi vorrá battezzar femina, per trovare piú apparente colore di menarmi seco!

Valerio. Oh povera pazzarella! Cotesto è l’onore che fai al tuo sangue nobile? coteste sono le allegrezze che apparecchi al tuo padre? chi t’ha condotto fuor di casa in questo abito? Vedi con quale occhio mi guarda! Ove pensi di andar, misera? Ritorna a casa, ritorna; poi che ventura m’ha qui mandato a tempo. Ritorna, prima che il tuo padre se ne accorga; e, fin e’ hai tempo, reggi la tua pazzia. Oli meschina te! Ancora non ti muovi?

Camilla. Chi non riderebbe delle fole di questo uomo? Chi sei tu? quando ti conobbi io mai? o quando conoscesti tu me per femina? Tu sei pazzo, poverino, o ebbro; o forse fernetichi. Femina io? Dio me ne guardi!

Valerio. Ecco onestá di donzella, parole di savia!

Camilla. Pazzo sei tu. Quante volte vuoi ch’io lo ti dica?

Valerio. Ora io vorrò vedere quali averanno maggior forza, o le tue parole o le mie braccia.

Camilla. Che di’ tu, gentiluomo?

Valerio. Odi. Comprendo chiaramente che tu non hai intelletto e che, a usar teco ragioni, sarebbe un perder di voluntá. Io, per far l’ufficio di buon servitore, voglio adoperar la forza.

Camilla. La forza? Tu saprai quello che importa forzar le persone.

Valerio. Che! Non ti farò io tornare in casa?

Camilla. Ah ribaldo! Tu mi strascini? che vuoi tu da me?

Valerio. Tornavi per bontá, che lasciarò le forze.

Camilla. Io ti strangolarò, reo uomo che tu sei. Mi vuoi far forza?