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La battaglia era si gravosa e dura,
l’aria e la terra n’era intenebrata,
ferro non vi valea né armadura
contro a Gibel, ch’avea gente pregiata.
Chi pruova un colpo suo, per sua sventura,
vorre’tornarne a dirne l’ambasciata!
Re Tarsian colla sua gente stolta,
non potendo durar, misesi in volta.
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Allor Gibel con suoi baron vedea
che contra a lui non era chi durasse.
Lo re e ’l figlio del campo si partéa
Gibello fe’ bandir che non cacciasse
l’un contro all’altro, parlava e dicea:
— Viltá saria a fedire chi n’andasse. —
E fe’ sonar le trombe a ringioiarsi
e dentro la cittá a ritornarsi.
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Le donne e li signor della cittade
ciascun menava riso, gioia e canto;
e la pulzella piena di biltade
tant’era allegra, non si pò dir tanto.
Allor Gibello, pien di lealtade,
s’accommiatò, quando fu stato alquanto.
E la pulcella, di lui innamorata,
piú che prima rimase sconsolata.
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Della pulcella egli si dipartia,
Gibel da’ suo’ baron commiato prese,
e in Serpentina prigion se reddia.
Gli altri, ciascun tornarsi in lor paese.
E la duchessa, quando lo vedia,
pensossi di venir co’lui alle mani;
d’amor cantava e davasi conforto,
com’ella seppe che ’l duca era morto.