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130 polinice
apportator d’inevitabil morte.

Gioc. Empj, voi soli; ed io, che a voi son madre.
Or via si ammendi il fallo mio: quel ferro
volgete in me; son vostro sangue anch’io.
Emuli al male oprar, d’Edippo figli,
nati al delitto, ed al delitto spinti
dalle furie implacabili, quí, quí
torcete i brandi; eccolo il ventre infame,
stanza d’infame nascimento. Ucciso
non il fratel, da voi la madre uccisa;
ben altro è il fallo; è ben di voi piú degno.
Eteoc. Strano a te par quanto a lui chieggo?
Polin.   E ingiusto
nomi il mio diffidare?
Gioc.   E ingiusto è forse
il mio furor? — Non del richiesto regno,
t’irriti tu; ma perché in armi è chiesto?
E tu, non stringi ad altro fin quell’armi,
che ad ottenere il regno tuo per l’anno? —
L’un dunque il brando, il non suo scettro l’altro
deponga quí: mallevador fra voi,
se giuro io ciò che giá voi pria giuraste,
chi smentirmi ardirá?
Eteoc.   Non io, per certo. —
Madre, tu il vuoi? perdonerogli io dunque
l’oltraggio, a Tebe, ed a me, fatto. Ei primo
ceda; ei fu primo ad assalirci. Appena
i nostri campi avrá dall’oste sgombri,
ed ei fia il re. Dargli ben voglio il trono,
non, ch’ei mel tolga. E mel potrebbe ei torre,
finché di sangue in me riman pur stilla? —
Scegli omai tu: me presto vedi a tutto:
ma, se tra noi rotta è la pace, il sappi,
che ria cagion sol ne sei tu: ricada
l’orrore in te d’iniqua guerra, e il danno.