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atto primo 177
scacciarlo. Edippo misero! far noto

non oserá il suo nome: il ciel, Creonte,
Tebe, noi tutti, ei colmerá di orrende
imprecazioni. — Al vacillante antico
suo fianco irne sostegno eletta io m’era;
ma gli fui tolta a forza; e qui costretta
di rimanermi: ah! forse era dei Numi
tale il voler; che, lungi appena il padre,
degli insepolti la inaudita legge
Creonte in Tebe promulgò. Chi ardiva
romperla quí; chi, se non io?
Argia   Chi teco,
chi, se non io, potea divider l’opra?
Quí ben mi trasse il cielo. Ad ottenerne
da te l’amato cenere io veniva:
oltre mia speme, in tempo ancora io giungo
di riveder, riabbracciar le care
sembianze; e quella cruda orribil piaga
lavar col pianto; ed acquetar col rogo
l’ombra vagante... Or, che tardiam? Sorella,
andianne; io prima...
Antig.   A santa impresa vassi;
ma vassi a morte: io ’l deggio, e morir voglio:
nulla ho che il padre al mondo, ei mi vien tolto;
morte aspetto, e la bramo. — Incender lascia,
tu che perir non dei, da me quel rogo,
che coll’amato mio fratel mi accolga.
Fummo in duo corpi un’alma sola in vita,
sola una fiamma anco le morte nostre
spoglie consumi, e in una polve unisca.
Argia Perir non deggio? Oh! che di’ tu? vuoi forse
nel dolor vincer me? Pari in amarlo
noi fummo; pari; o maggior io. Di moglie
altro è l’amor, che di sorella.
Antig.   Argía,
teco non voglio io gareggiar di amore;


 V. Alfieri, Tragedie - I. 12