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22 lettera di ranieri calzabigi


appoggiarvi lo scioglimento dell’azione. Il motivo si è, che all’odio suo non basta la sola morte di Polinice; e che vuole egli stesso dissetarsi col suo sangue. Mi si dirá che l’odio lo accieca: ma può egli accecarsi a segno di avventurar se stesso? può egli esser sicuro di vincere il fratello, non men di lui risoluto e feroce? è egli prudente nell’abbandonare al caso e la sua vendetta, e lo scettro che si assicura con sbrigarsi di Polinice con un tradimento? Gli ostacoli che può naturalmente prevedere a questo assassinio (ostacoli dipendenti dalla tenerezza della madre, dalla vigilanza amorosa della sorella) potrebbero in qualche maniera scusare questa sua inverisimile risoluzione. La giustificherebbero ancor piú, se in qualche luogo c’indicasse Eteocle questi probabili ostacoli, derivanti dalla oculatezza di Giocasta e d’Antigone.

Non conosco su’ teatri tragici soggetto piú uno, piú semplice, piú semplicemente disposto di quello dell’Antigone, ch’ella ha saputo ristringere a quattro personaggi. L’amore fra Antigone ed Emone, è veramente degno del coturno. Non v’è sulle scene tenerezza di moglie piú lagrimevole di quella d’Argía, non tirannide piú orribile di quella di Creonte, che giunge fino a calpestare l’amor paterno. Tante passioni a contrasto dan luogo a maravigliosi accidenti, a sentimenti di eroismo, che sorprendono; come nella scena seconda dell’atto terzo fra Antigone, Emone e Creonte, e nella seguente fra i due primi personaggi.

Nell’atto quinto, scena quarta, ove Creonte (l’odio del quale contro la principessa è frenetico) comanda che non si tragga a seppellirsi viva come avea ordinato, ma sia ricondotta al suo carcere; questa mutazione in un cor feroce ostinato e risoluto, com’è il suo, sembra troppo repentina, ed appoggiata sopra riguardi troppo leggieri. Ma l’uscita d’Antigone verso il luogo del supplizio ha somministrato rincontro di lei con Argía, e la loro tenerissima separazione; e poi io penso che basti a disimpegnare la nuova risoluzione di Creonte l’apologia ch’egli stesso ne fa nell’atto quinto, scena quinta.

Cosí nella scena terza e quarta dell’atto quarto, si potrá forse dire che troppo in Emone fidi il barbaro padre. Non dico che n’abbia a temere per se stesso; il di lui virtuoso carattere può pienamente rassicurarlo: ma nella risoluzione immutabile e feroce in cui è fermo d’uccidere Antigone ad onta del figlio, per motivi ostinati d’odio, di vendetta, di ragion di Stato, il suo figurarsi che Emone non procuri d’involarla con ogni sforzo alla morte,