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EPOCA TERZA. CAP. XIV. 245


abitualmente, si da qualunque altri a caso vi [1774] si adagiasse, covate in tal guisa fra la poltroncina e il sedere di molti quelle mie tragiche primizie.


O non ben dalla forza ancor distinta;
Sozza non fu la lingua mia giammai
Dal basso stil d’adulatori iniqui,1
Il ver ti dissi ognor, Regina, il sai,
E tei dirò finché di vita il filo
Lasso, terrammi al tuo destino avvinto;
Cieco amor, vana gloria, al fin t’han spinto
a duro passo, e non si torce il piede,
altro scampo Photino oggi non vede
Fuorché nel braccio e nell’ardir d’Antonio,
Di lui si cerchi, a rintracciarlo volo
Non men di lui parmi superbo, e fiero
Ma assai più ingiusto il fortunato Ottavio,
Ah se P aspre querele, e i torti espressi
Sotto cui giace afflitta umanitade,
Se vi son noti in ciel, saria pietade
Il fulminar color che ingiusti e rei
Vonno quaggiù raffigurarvi, o dei.(parte)2

Alfieri, Vita. Vol. I.

  1. Lo scrittore era nemico giurato del punto fermo.
  2. Qui le informi reminiscenze del Metastasio traevano l’autore a rimare senza avvedersene.