Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/268

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262 la divina commedia

     E quando innanzi a noi intrato fue,
che li occhi miei si fero a lui seguaci,
102come la mente a le parole sue,
     parvermi i rami gravidi e vivaci
d’un altro pomo, e non molto lontani
105per esser pur allora vòlto in láci.
     Vidi gente sott’esso alzar le mani
e gridar non so che verso le fronde,
108quasi bramosi fantolini e vani,
     che pregano e ’l pregato non risponde,
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
111tien alto lor disio e nol nasconde.
     Poi si partí sí come ricreduta;
e noi venimmo al grande arbore adesso,
114che tanti preghi e lagrime rifiuta.
     «Trapassate oltre senza farvi presso:
legno è piú su che fu morso da Eva,
117e questa pianta si levò da esso».
     Sí tra le frasche non so chi diceva;
per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
120oltre andavam dal lato che si leva.
     «Ricordivi» dicea «de’ maladetti
nei nuvoli formati, che, satolli,
123Teseo combattér co’ doppi petti;
     e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli,
per che no i volle Gedeon compagni,
126quando ver Madian discese i colli».
     Sí accostati a l’un de’ due vivagni
passammo, udendo colpe de la gola
129seguite giá da miseri guadagni;
     poi, rallargati per la strada sola,
ben mille passi e piú ci portar oltre,
132contemplando ciascun senza parola.
     «Che andate pensando sí voi sol tre?»
súbita voce disse; ond’io mi scossi
135come fan bestie spaventate e poltre.