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222 capitolo X.


tenebre. Quando giungemmo là, dopo alcuni minuti, intravedemmo alcune yurte, e ci fermammo. Un branco di cani ci attorniò abbaiando. Comparve un uomo nel vano d’una porta illuminata. Gli domandammo dell’acqua, ed egli ci offrì tutta quella che aveva, in un recipiente di coccio. Era calda, grassa e terrosa. Gli chiedemmo dove fosse la sorgente, e c’indicò la strada con un gesto che voleva dire: vicino! Lo invitammo a guidarci, e rifiutò. Aveva paura di noi.

Proseguimmo fino ad un prato dove decidemmo di accamparci. Mentre Ettore piantava la tenda, il Principe ed io ci mettemmo alla ricerca della famosa sorgente. Egli portava il secchio ed io la pala; il secchio per l’acqua, e la pala per i cani. Rappresentavo la difesa, e una difesa necessaria perchè i cani mongoli sono di una ferocia famosa. La luna era tramontata e la terre dormiva eguagliata dal lieve pallore sidereo. Dopo molte ricerche riuscimmo a trovare un rivoletto di acqua melmosa e vagamente putrida. Non ci fu possibile, con tutta la sete che avevamo, di berne un solo sorso. Tornati alla tenda ne facemmo del thè, che riuscì il thè più perfido che si possa immaginare. Divorammo in silenzio qualche scatola di conserva, sorseggiammo quella perfidia bollente (con molto zucchero) ed entrammo carponi sotto la tenda. La notte era divinamente calma.

Avemmo la precauzione di non lasciare nulla fuori della tenda, ed Ettore, fedele alla consegna, si mise la pistola a portata di mano. Sdraiati sull’erba, avvolti nel tepore dolce delle pellicce, non tardammo a prender sonno profondamente.

A metà della notte fui risvegliato bruscamente dalla voce di Ettore che gridava:

— Chi è?

Egli si era sollevato, e sentii che cercava la Mauser. Mi misi in ascolto. Dopo alcuni istanti udii all’esterno un rumore sommesso e breve ma distinto nel grave silenzio notturno.

— Chi è? — gridò ancora Ettore in tono più reciso.

Nessuno rispose. Passò un alito di vento, e il rumore si