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162 la montagna delle folgori

Le frane di neve seppellivano baraccamenti, trasformavano intere regioni, lasciavano un deserto di geli sul quale il lavoro infaticabile ricominciava a scavare le sue vie. In ogni valle ferveva l’opera di riattivamento, di collegamento, di ricerca. Nulla può dare l’idea della vastità di questa lotta. Si sono raccolti dati sopra più di cinquecento grandi valanghe cadute nella zona di guerra. Respinta sui declivi, l’umanità tornava e ritornava all’attacco nella grandiosità favolosa e sinistra di un caos gelato, ostinata, minuscola, sublime. E vinceva.

La caduta delle valanghe non è cessata; anzi, l’addolcirsi del clima facilita il distacco delle nevi fresche. Alla notte specialmente, gli slittamenti devastatori discendono, e si ode il loro strusciamento profondo e lungo che echeggia nelle gole. Non passa giorno, quasi, che dalla Sella Kozliak squadre di alpini in corvée non debbano scendere al passo dei canaloni per riaprire una traccia di sentiero sulla neve franata.

Noi salivamo appunto lungo un cammino appena scavato, ma che qua e là era stato già colmato di nuovo da piccoli scoscendimenti o sepolto gradatamente da un perpetuo e silenzioso scivolare di pulviscolo. Perchè la neve lì è sempre in movimento.

I pendii ripidi che bisogna attraversare, quei lunghi nevai da valanga che visti dal basso sembrano quasi verticali, sono corsi alla su-