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il convalescente 207


E la tua ultima grandezza, o mia volontà, serbala per ultimo, — si ch’io sia inesorabile nella vittoria! Ahimè, a chi mai la vittoria non fu fatale?

A chi l’occhio non s’oscurò in quell’ebbro crepuscolo?

Chi non vacillò — fatto incapace a reggersi in piedi — nella vittoria?

— Affinchè un giorno io sia preparato e maturo pel grande meriggio! pronto e saldo come bronzo ardente, simile a una nube gravida di folgori, a una mammella traboccante di latte!

— Preparato per me stesso e per la mia volontà più ascosa: un arco desideroso della freccia; una freccia bramosa della sua stella!

— Una stella preparata pel suo meriggio: ardente, trafitta, inebriata dai dardi del sole che la struggono!

— Il sole medesimo e una volontà inesorabile di sole, pronto a distruggere ogni cosa nella sua vittoria!

O volontà, tu che allontani ogni bisogno, tu mie necessità! Serbami ad una grande vittoria!».

Così parlò Zarathustra.




Il convalescente.


1.

Un mattino, poco dopo il suo ritorno nella caverna, Zarathustra si levò gridando con voce terribile, gesticolando furiosamente, come se sul suo giaciglio si trovasse qualcuno che non volesse levarsene. E così forte suonava la voce di Zarathustra, che i suoi animali corsero a lui impauriti, e da tutte le caverne e da tutti i nascondigli, posti nei pressi della caverna di Zarathustra, uscirono fuggendo gli uni a volo, gli altri saltellando, strisciando o balzando secondo la natura dei loro piedi e delle ali. Ma Zarathustra pronunciò queste parole:

«Assorgi a me, o pensiero d’abisso, dalle tue profondità! Io sono il tuo gallo e la tua alba: o verme addormentato, su, su! Il mio canto deve ridestarti!