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in balìa sua se avesse voluto, e non meritava quelle care parole timide.

Tacquero per un poco, entrambi. Cortis aperse poi la bocca per parlare, ma non ne usciva voce alcuna.

«Cosa» diss’ella piano.

Egli esitò un istante e rispose:

«Niente.

Ma Elena intese che qualche cosa voleva dire e aspettò in silenzio. Infatti, egli mormorò poi senza guardarla:

«E ti si permette di partire stasera con me?

«Debbo parlare o scrivere» gli rispose, «ma vengo certo.

Cortis la pregò di scrivere. Un colloquio gli metteva paura. Non si sapeva mai che ne potesse uscire. Perchè non scriverebbe subito? Lì c’era carta, penna e calamaio. Poi l’usciere porterebbe la lettera.

«Debbo scriver qui?» diss’ella, ancora incerta, parlando a sè stessa.

Si decise e sedette al tavolino. Lo aveva tutto in testa quel che doveva scrivere, ma pure indugiò alquanto prima di cominciare. Come le batteva il cuore lì in presenza sua!

«Ho trovato tuo zio di buon aspetto» disse Cortis.

Ella non rispose e scrisse:

«Parto questa sera per Passo di Rovese con mia madre e con Daniele.

«Ad andarci ora in tale compagnia faccio bene; ma dovunque io possa trovarmi, in qualunque momento tu me lo chieda, terrò la mia parola. Tu intanto non ne parlare a nessuno. Quando la cosa si saprà, io desidero essere già partita, evitare a me e ad altri molte pene inutili.