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non aver mai rifiutato, per questo motivo, le sue benedizioni. Infatti correva una storia assai fondata di cavoli del partito Cortis non voluti salvare dai bruchi. Elena lo tranquillò; c’era tempo, in ogni caso, al rimedio. Il signor arciprete non conosceva bene Cortis, una volta; adesso potrebbe affermare in coscienza agli elettori, che Daniele Cortis non era un nemico della religione, tutt’altro: ne rispondeva lei. L’arciprete promise tutto quello che la signora baronessa volle, anche di accordare la sua propaganda elettorale con quella della contessa Tarquinia, e accompagnò la signora baronessa, a capo scoperto, sino alla carrozza.

«Villa Cortis» disse Elena al cocchiere, salendo.

Passate le ultime casupole del paesello, vide il muraglione del giardino francese e, al di sopra, il getto bianco, il bosco pendente della montagna. Smontò pallida e accigliata sulla spianata verde davanti alla casa, s’avviò per il cortile rustico al cancello dei giardini e si perdette nelle ombre del bosco. Si perdette nel mistero delle ombre che posano in giro al cancello il loro silenzioso invito, e che si chiudono a pochi passi, dense, sulla via che gira e scompare, sui sentieri che accennano e dileguano. Vi sono là dentro colli e valloni perpetuamente ombrosi, laghi e prati cinti d’ombra, taciti canali che tremolano nell’ombra, voci di fontane invisibili. Le vette degli alti alberi in giro al cancello annunciano ondulando, mormorando al vento, questo poema dell’ombra e della vita, ne promettono le oscure magnificenze.

Elena sparve là dentro per la via larga che gira a sinistra

Si sarebbe forse potuto udire per un momento da