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lazione col cocchiere. Il piccolo don Bortolo si fece avanti con la sua comica famigliarità, rimproverò la contessina di volersene andare così presto come aveva inteso.

«Contessina» disse Piantoi, stando rispettosamente indietro, «la va benone per il signor Daniele, anche se qua il nostro religioso ci si arrabbia.

«Cosa, cosa, cosa?» sbuffò don Bortolo, voltandosi, e stringendo il suo nocchieruto bastone. Elena non lo guardò neppure, salutò l’altro affabilmente.

«Mi raccomando» diss’ella. I cavalli partiron di galoppo, gittando un nuvolo di polvere sui due contendenti.

La contessa Tarquinia era in giardino con i Perlotti. Malcanton rosso e sudato come un facchino, non era ancor giunto, malgrado l’aiuto del gastaldo a disporre il lawn-tennis: il dottor Grigiolo dal canto suo gridava «colla, colla!» da un finestrino del granaio dove stava preparando palloni e palloncini di carta per lo spettacolo della sera. Com’ebbe veduto entrare la carrozza d’Elena scappò giù a salti dal suo laboratorio, raggiunse Perlotti e Malcanton che le andavano incontro per salutarla e dolersi dell’annunciata partenza. La Perlotti le disse che aveva combinato con il barone di partire insieme alle dieci e mezzo dopo l’illuminazione e i fuochi. La contessa Tarquinia, immaginandosi di che parlavano, cominciò a gridar da lontano «no, no! e a far gesti negativi col ventaglio.

«La tua mamma non vuol sentirla» disse la Perlotti. «Sempre tanto gentile, poveretta. Ma bisogna proprio!»

«Eh, bisogna proprio» ripetè il marito malgrado