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l’imbarco degli emigranti 7

che scambiavano i marinai e gli ufficiali con gli amici e i parenti raccolti sulla calata, come se si partisse per la Spezia. — Tante cose. — Mi raccomando per queel pacco. — Dirai a Gigia che farò la commissione. — Impostala a Montevideo. — Siamo intesi per il vino. — Buona passeggiata. — Sta bene. — Alcuni, arrivati allora allora, fecero ancora in tempo a gettare dei mazzi di sigari e delle arance, che furon colte per aria a bordo; ma le ultime caddero in mare. Nella città brillavano già dei lumi. Il piroscafo scivolava pian piano nella mezza oscurità del porto, quasi furtivamente, come se portasse via un carico di carne umana rubata. Io mi spinsi fino a prua, nel più fitto della gente, ch’era tutta rivolta verso terra, a guardar l’anfiteatro di Genova, che s’andava rapidamente illuminando. Pochi parlavano, a bassa voce. Vedevo qua e là, tra ’l buio, delle donne sedute, coi bambini stretti al petto, con la testa abbandonata fra le mani. Vicino al castello di prua una voce rauca e solitaria gridò in tuono di sarcasmo: — Viva l’Italia! — e alzando gli occhi, vidi un vecchio lungo che mostrava il pugno alla patria. Quando fummo fuori del porto, era notte.