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l’altare, un mazzo di oleandri rosa, dell’unica pianta che era nata spontanea in fondo all’orto, e s’incantò a berne come un liquore amarognolo il loro profumo. Era un profumo che pareva venisse di lontano, dal fiume, dalla valle, dalla fanciullezza di lei: e i ricordi che ella credeva di aver definitivamente scacciato, e che se ne erano andati via come uccelli da un luogo ove non trovano più acqua né nutrimento, le risalirono quasi rapaci dal cuore. Sì, l’oleandro era lì da molti anni; ella lo aveva conosciuto fin da ragazzina, con tutte quelle foglie che sembravano lancie verdi, che si arrugginivano al sole; e i fiori di un rosa vivo, piegati verso il muricciuolo sopra la valle, come ad ascoltare con nostalgia il rumore dell’acqua lontana dalla cui vicinanza anch’essi erano stati esiliati. Ella stava, in quel tempo, piegata ore ed ore sul muricciuolo, all’ombra della pianta fiorita, ad ascoltare, senza saperlo, le voci del suo passato, del suo sangue, della sua stirpe appassionata e sognante; sognante anche nelle sue crudeltà e nelle sue miserie: ed ecco la figura del ragazzo di bronzo, con gli occhi di leopardo in amore, che vien su fra le erbe e le pietre, agile e silenzioso, la bocca e le gengive in colore degli oleandri, l’alito amarognolo e fresco come il loro; e la chiama sot-