Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/98

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senza del padrone che era tornato in paese per sposarsi. Era sicuro del cane, il servo, più che di sé stesso. Da quando la bestia, forte, giovane, agilissima, guardava l’ovile, nulla più di male vi era accaduto. E infatti, mentre il sonno del servo era opaco e profondo, quello del cane poteva dirsi trasparente, vigile e anche inquieto: pareva che la bestia sapesse di essere sola a vegliare il bestiame, e ne sentisse la responsabilità; ma nello stesso tempo il suo istinto non sfuggiva all’influsso della notte, della stagione; e di tanto in tanto un tremito gli faceva ondulare le vertebre, sotto il pelo che pareva agitato da un alito di vento. Allora guaiva, in sogno, per uno spasimo fisico che era pure una dolcezza indefinita, un desiderio inafferrabile, come quelli degli adolescenti.

E infatti anch’esso era un cane quasi cucciolo, che ancora non conosceva l’amore.

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Le due volpi, invece, maschio e femmina, giù nell’anfratto dove avevano a loro disposizione tutto un labirinto di roccie coperte di cespugli, non potevano dormire. Avevano