Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1847.djvu/6

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bellezza stupito in fra sé della poca fatica che ha dovuto impiegare nel giungervi. Quella è la via dell’intelletto, questa del cuore: quella seguirono Meyerbeer e Mercadante, questa Bellini: quanto a Rossini, come il Micromega di Voltaire, si è divertito a mettere il piè dritto in una ed il manco nell'altra senza esagerare la divergenza de’ suoi passi, quasi uomo che va a diporto. Abbandonando la metafisica similitudine delle due vie sciogliamo il gruppo del nostro pensiero col distinguere gli effetti musicali in due specie: cioè negli effetti plastici e negli effetti spirituali. Il giovine e già tanto acclamato Giuseppe Verdi possiede una Musa astuta e veggente, che calcolata la necessità di unirei mia all’altra di queste due specie, deliberò di curarsi della parte razionale quel tanto che appagasse la coscienza del compositore, e di badare soprattutto all'effetto plastico, cioè alla coordinazione delle frasi in inaspettate e gentili guise, alla brevità e concisione dei pensieri, al coronarli con vivace e sonora conclusione, alla schiettezza franca e svelta di una melodia, che non appena è udita è piaciuta, è impressa nelle menti e portata intorno per le vie della città. Non è qui nostro proposito il discutere sull’importanza generale di un simile partito: esponiamo il nostro pensiero sull'indole della composizione di Verdi, indole che diede si fortunata e repentina fama al suo nome, e che serbò intatta in tutte le sue composizioni e per conseguenza in questa dell'Attila. Di questo spartito si è detto troppo bene e troppo male, come avviene sempre quando i giudizii sono portati da lontano per mezzi o troppo amici, o troppo nemici, o per bocche indifferenti. Dire che sia la migliore opera del Verdi è avventato; ed è ingiusto dire che ne sia la peggiore. V’ha in quest’Attila un tal misto di men buone e più buone cose, che malagevole assai sarebbe il definirla con note ed epiteti calzanti. Tratto tratto nell'assistervi si direbbe che il Verdi paja alzarsi oltre la propria sfera, e tentare un volo in un ciclo non ancora da lui esplorato; tratto tratto evidente si manifesta una specie di spossatezza, una noncuranza, quasi di compositore, che ha fretta d’aver finito: qui in un pezzo concertato ei ti sposa le voci in gentilissimo connubio, e con novissima eleganza di forme esprime un nobile in uno e gajo concetto: là in una cavatina sospirosa ci langue e ci fa correre colla mente a melodie già udite, ad idee già concepite e sensazioni già provate. Ora vi si ode uno strumentare robusto, trapunto di sottili arpeggi e di soavi accordi; ora la maschia tempra della sua orchestra dà luogo ad un fare infra il neghittoso e lo svogliato, che mal si conviene all’insieme del suono e della voce. Per arrecare un esempio che meglio dia evidenza alla nostra opinione, citiamo di volo l’Adagio primo di Moriani, al quale contrapponiamo la Cabaletta seguente o quella di Marini. L’adagio è una poesia tutta soavità, è un rimpianto delicato di memorie perdute, di misteriosa melanconia: è lene, è affettuoso canto quanto possa dirsi: laddove se si prende ad esaminare uno de’ due Allegri ora citati, chiaro appare che il valente autore nè deve nè può trovarsene soddisfatto, come soddisfatti od almeno penetrati non possono esserne gli uditori. I troppo severi chiederanno conto al bravo Verdi della facilità colla quale si acquetò nella prima idea che gli si presentò alla mente nel duetto a tenore e soprano, la quale idea si trovò essere quasi precisamente quella del terzetto dell’Anna Balena: gli terranno broncio del troppo ricadere nelle sue solite formole, ne’ suoi consueti slanci, nelle chiuse e cadenze già spesso adoprate. Noi, senza essere fanatici per l’ammirazione di Verdi, ci persuadiamo che queste ed altre consimili mende nulla tolgono al inerito del suo lavoro. L'Attila è in complesso una lodevole composizione, che basterebbe da sè sola a dar voga ad un nome; meno strettamente viva, e nell’insieme elegante dell'Ernani, meno studiata de' Lombardi, meno melodica del Nabucco, quest’opera ritrae dall’uno e dall altro di detti spartiti quel tanto che costituisce il piglio naturale all’autore; molte bellezze, qua e colà disperse e dimenticate sono qui riunite e messe in luce; insomma l'Attila è una produzione nella quale nessun pezzo vi ha di assolutamente cattivo, mentre contiene squarci assolutamente buoni, ed invero assolutamente buona è la cavatina Allorché i forti corrono - leggiadro per novità e brio il pezzo concertato del second’atto - vivace e caro rallegro del duetto fra Odabella e Foresto - possente e concitato l’ultimo quartetto deliziosamente concepito il levar del sole, ove l’armonia s’alza lieve lieve come la luce, e grado per grado tocca l'intensità e la forza del raggio mattutino... Per ciò che spettla quest’ultimo pezzo abbiamo udito tacciare il Verdi di troppo patente imitazione di David: questa è una delle critiche senza fondamento che si gittano all’aria col fumo del cigaro nei caffè: l’imitazione consisterebbe nel cominciare dal piano per salire al forte; ed il Verdi, per non imitare David, non poteva già far levare il Sole incominciando dal forte per discendere al piano. Attila eseguito da attori come Moriani, Marini, De Bassini, irrorato, diremmo, dalla divina voce della Tadolini, non poteva non piacere: e l’esito fu uguale al merito: nè troppo esagerato, nè troppo freddo: esito moderato reso ad ora ad ora fragoroso dalla stima che si ha pel nome di Verdi; e non ingiustamente. T.


la cui marsina semplice e di buon gusto aveva appese alla bottoniera due croci, con nastri di vario colore; tutto in lui annunziava un uomo di qualità. L’amor proprio entra sempre per metà, come saprete benissimo, nell'amor delle donne, e non farei maraviglia che la giovane Annetta rimanesse sedotta, parte dall’esteriore avvenente e simpatico dello sconosciuto, e parte dalle fettuccie sporgenti dall’occhiello della sua marsina. L’inesperta donzella, tornando al suo posto dopo una quadriglia, annunziò, tutta tremante di contentezza, alla zia impaziente, che la sua scelta era fatta. Le ciel est tout d’azur et de sérénité pour la jeune fille au cœur confiant, ha detto la Stael; esso sembrava infatti proteggere la sorgente inclinazione di Annetta, permettendo che la stella luminosa (di cui ella cercava da molto tempo la traccia) apparisse, in quella sera decisiva, all’orizzonte della sua vita, che aprivasi per la prima volta alla speranza e all’amore. La vecchia zia misurò e valutò ella stessa tutta la felicità promessa alla leggiadra pupilla, giacchè, visto appena il giovane preferito, ne balzò di gioja al pari di questa, a dispetto de’ lunghi suoi armi, e seguì l’incognito coll’occhialino, sinché durò la danza, facendo, per attirarlo a sè, mille smorfie, come era la moda della canizie del secolo passato. Il padrone di casa si accostò in questo mezzo alla nobile Varvegno e le disse, che per variare ad onore di lei i piaceri di quella veglia notturna, si disponeva a far udire alla società la voce di un uomo di alto grido, il quale aveva fatto strabiliare con l’estensione delle sue corde e con la dolcezza del suo canto tutte le capitali e le Corti d’Europa. 11 pianoforte fu dunque recato in mezzo alla sala, e quale non fu la gioja delle due donne riconoscendo nell’uomo lodato il futuro marito della sensibile Annetta! La contessa non poteva stare in sè dalla gioja e andava ripetendo: È un giovane meraviglioso! Quanto è bello! Qual voce!... Pieno di spirito! Antinoo nella persona e nel volto, Orfeo nel canto e per sopravvia anche diplomatico! Oh, non v’ha dubbio. disse a bassa voce alla nipote, quel giovane e un diplomatico: guarda le sue croci, vedi quale contegno. Figliuola mia. è propriamente la carriera ch'io ti desiderava nel fondo del mio cuore. - E la buona dama asciugava furtiva-