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eroiche dei fuggiaschi. Voltaire, dieci anni dopo, si ricordasse o no di Goldoni, introdusse pure nella Scozzese (rec. 1760) un nobile proscritto che ottiene la grazia dal Re. Senza quell’episodio, l’azione restava forse monca, e non a torto l’autore si compiaceva della trovata, che conciliava l’arte e la moralità del Settecento. Poichè si aveva un bel ridere delle serve divenute padrone, e e si poteva spingere, sul teatro, la familiarità di servi e padroni fino all’inverosimile, ma contro i matrimoni disuguali gridavano scrittori liberalissimi in tutta Europa; e l’aristocratico Voltaire nella Nannina (o il pregiudizio vinto: attinta alla medesima Pamela di Richardson, nel ’49) dove un conte sposa una villana, fece opera vuota d’arte e non sincera di tesi. Se Goldoni abbia letto la commedia di Voltaire, e quando, è difficile dire: certo non prima del 1753 (v. l’Autore a chi legge), tanto più che della lingua francese pareva ancora inesperto. (P. Toldo, in Giorn. stor., 1898, vol. XXXI, 343 sgg., fu troppo facile ad affermare; peggio Bertoni. C. G. e il teatro franc, del suo tempo, in Modena a C. G., 1907, p. 411. Invece J. Merz, C. G. in seiner Siellung zum französischen Lustspiel, Lipsia, 1903, negò ogni rapporto fra Nanine e Pamela). Anche Marivaux del resto, benchè anonimo, aveva dato alle scene nel 1746 il Pregiudizio vinto e aveva sposato una marchesina povera con un ricco borghese: ma l’audacia era propriamente nel titolo (si ricordi inoltre le Jeu de l’amour et du hazard, 1730). Lascio Destouches che, vecchio, s’inspirò a un tema in parte non dissimile, salvandosi poi, come Goldoni, col mezzo d’un riconoscimento (la Force du naturel, rec. nel febbr. 1750, pochi mesi avanti la Pamela, e trad. da Gasp. Gozzi, 1754).

Chi vorrà perciò accusare Goldoni di timidità? Il gran problema del secolo decimottavo, se il privilegio sociale della nascita e del sangue debba aver ragione sulla legge naturale, era qui posto in azione, e risolto almeno nell’animo degli spettatori. Pamela vinceva, Bonfil non era riuscito nè a sedurla, nè a scacciarla, madama Jevre (A. III, sc. 3) precorreva ingenuamente le teoriche di G. G. Rousseau, il pubblico piangeva e applaudiva (G. Ortolani, C. G. nella vita e nell’arte, Ven., 1907, p. 64; e L. Falchi. Intendimenti sociali di G. G., Roma, 1907, p. 71). Era la società che sconcertava «il bellissimo ordine della natura»; la società, che non avrebbe tollerato l’umile Pamela sposa di Milord (v. sc. 2, A. II) e che non vince già col prezzo della virtù i suoi pregiudizi. Neppur facciamo colpa al torvo governo della Serenissima. L’anno stesso della Pamela goldoniana, i Veneziani battevano le mani nel teatro di S. Samuele alla Marianna ossia l’orfana del Chiari, tolta dal noto romanzo di Marivaux; e l’anno appresso, com’è probabile, alla Contadina incivilita dal caso e alla Contadina incivilita dal matrimonio, dello stesso abate bresciano: commedie ricavate da un romanzo del cavaliere di Mouhy (la Paysanne parvenue, 1735) nel quale, circa un lustro prima di Richardson, la Giannetta univasi in matrimonio con un marchesino.

«Non so» scriveva Goldoni «se su tal punto saranno i perspicacissimi ingegni dell’Inghilterra di me contenti», (v. l’Autore a chi legge) Il Baretti, credendosi interprete di quel popolo, rispose di no (Frusta, l. c.): ma ho sospetto che avrebbe non meno biasimato un matrimonio disuguale. Più feroci si mostrarono i giacobini di Francia nell’agosto del 1793, quando costrinsero Francesco di Neufchàteau a togliere a Pamela la nobiltà, e quando ai 3 set-