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limitato, rivelano il liberale filantropo, che tende da per tutto a garantire le franchigie della troppo spesso conculcata umanità. Persuaso che le scienze morali e politiche potessero dedursi collo stesso rigore di raziocinio e d’osservazione come le naturali e le fisiche, abbandonò il tono sentimentale, con cui solevasi allora muover guerra alla società in nome della natura.

Allorchè, dopo lunga meditazione e dopo essersi più volte rifatto da capo, Romagnosi pubblicò la Genesi del diritto penale, contava trent’anni. Contava trentanni, giovi ripeterlo alla gioventù italiana, affinchè veda quanto importi l’adoperare la florida età non tra lusinghe d’immaginazione o grossolanità declamatorie, non fra gl’impeti d’una passionata politica o nelle blandizie d’un’estetica passiva, che dispongono a sfrenatezza e pigrizia, ma nell’educarsi all’abitudine di ben posare gli argomenti, d’esaminarli con discernimento, di conchiuderli con valore; nell’ingagliardire la ragione più che nell’erudire la memoria, per riuscire in tal modo pensatori profondi, sicuri, cordiali, siccome la patria ne bisogna.

Venti anni dopo, ricco d’esperienza, il Romagnosi rivedeva l’opera sua; e se trovò di darvi estensione, dichiarava riscontrarla in armonia, più che prima non avesse pensato, coll’intera scienza della pubblica cosa; ed insisteva mostrando quanto importi lo studiar le verità, accomodate alle esigenze pratiche della vita, per potersi drittamente regolare in quella vittoriosa corrente che sospinge il mondo delle nazioni verso la giustizia sociale, sussidiata dalla religione, cannonizzata dall’opinione, mantenuta dai costumi.

Poco dopo pubblicata la Genesi, Pastoret ne scriveva congratulazioni all’autore; venne poi nota e tradotta in altri paesi; l’università di Gottinga la dichiarò classica; nel regno di Wirtemberga servì di modellar il codice penale; venne tradotta negli Stati Uniti d’America; in Italia, al solito, lungamente rimase quasi ignorata, sol tardi se ne moltiplicarono le edizioni1.

  1. Il Romagnosi contiene tutta la dottrina di Feuerbach, che fu pubblicato solo nel 1799; eppure il signor Hèlie parla continuamente del Feuerbach e mai del Romagnosi; neppure il nome ne proferì Pellegrino Rossi, benchè in un capo intero lo confuti.
    Romagnosi, il 14 settembre 1830 scriveva a Valentino Pasini: — Del libro del Rossi non ho letto se non l’articolo dell’Antologia di Firenze. L’impressione che mi rimasta si è che, in ciò che il Rossi aggiunse del suo nella teoria fondamentale