Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/87

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dilatavano tutte le proporzioni. Le difficoltà erano enormi. Ma gravissima fu quella della morte prematura del Montricher, seguìta a Napoli, per tifoidea acuta, a quarantotto anni, nel 28 maggio 1858, mentre con la giovane famiglia si recava in breve congedo a Marsiglia. Il principe Torlonia affidò allora il proseguìmento dell’opera ai due ingegneri, ch’erano quasi i depositarii del pensiero di Montricher, Bermont e Brisse. La storia dei lavori tecnici occorsi per liberare l’emissario dalle acque e dalle rovine, che l’ingombravano, riempie l’animo di meraviglia e di ammirazione. Il principe Torlonia non si dissimulava che la sola persona, la quale nel governo napoletano desiderava sinceramente la riuscita della grande intrapresa, era il Re. In questo desiderio del Re si racchiudeva la sola garenzia morale, che il Torlonia trovasse contro le gravezze del contratto impostogli nella concessione. L’amministrazione napoletana non si dava pace per essersi vista sfuggire dalle mani una così colossale occasione di proventi e di lucri, e sollevava continue difficoltà, che facevano strano contrasto con la magnanima condotta dell’ impresa. Sicché, morto Ferdinando II, il Torlonia si affrettò ad esporre al suo successore il grave rischio che egli correva, ed ingiustissimo, per una clausola incidentale contenuta nel contratto, alla cui importanza non si era dato alcun peso, ma che si sarebbe verificata quando le acque del Fucino sarebbero sboccate nel Liri. Per quella frase, più che clausola, il Torlonia avrebbe dovuto regolare, se non addirittura sistemare, il corso del Liri! Fu fatta allora una transazione, per la quale il principe pagò al tesoro napoletano una somma di ventimila ducati, e fu esonerato dall’ingiusta clausola, ottenendo inoltre una proroga di otto anni per la esecuzione del prosciugamento. Fu questo il solo atto del Regno di Francesco II relativo all’opera del Fucino. Tutto il lavoro durò ventidue anni, e fu nel giugno 1875 che le acque più basse del bacino lacustre passarono nell’emissario, e il Fucino scomparve. La spesa ascese a circa quarantotto milioni. Si restituirono alla cultura e alla produzione nazionale ventiquattromila ettari di terreno, dei quali nove mila vennero attribuiti a comuni ed a privati limitrofi al prosciugato lago, e quindici mila al Torlonia. Questa gravissima questione circa l’appartenenza dei terreni rivieraschi fu risoluta felicemente da Silvio Spaventa, ministro dei lavori pubblici,