Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/285

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«Il vostro ultimo monarca m’intese, e sdegnandosi di quella massima, pretese provarnene la stravaganza, e mi fece calare in un pozzo. Voi me ne cavaste per pormi sul trono; Dio volle giustificare la verità della massima che il mio predecessore trattava di follia, e ricompensare la pazienza da me dimostrata nelle disgrazie che ora son per narrarvi.

«Quel re mio vicino, che veniva ad implorare il mio soccorso, e ch’io scacciai dopo avergli tolto quanto possedeva, fu una volta mio sovrano. Egli s’impossesso ingiustamente di tutti i miei beni, e mi scacciò dal mio paese; io non feci che usare con lui di rappresaglie, e fargli subire la legge del taglione.

«I ladri giustiziati per mio ordine mi tolsero il poco che portava nel mio esiglio, e spogliatomi perfino degli abiti, condussero via i miei due figli: sono dessi i due giovani da me fatti entrare nel palazzo, e che voi riguardaste come ladri cui avessi perdonato. Circa ai masnadieri che me li avevano rapiti, io non poteva prestar fede al pentimento ed alle proteste loro: essi avevano meritata più d’una volta la morte, ed erano indegni di servire lo stato.

«Il cavaliere al quale fu tronca la testa, mi rapiva la moglie, l’unica consolazione che mi restasse: io era in diritto di riprenderla, ed è quella che feci condurre nell’interno del palazzo.

«Tali sono i motivi della mia condotta in queste ultime circostanze; se vi sembrò dapprima ingiusta e crudele, dovrete ora riconoscere ch’essa è conforme alle regole della giustizia ed alla più stretta equità. —

«I grandi del regno, udito il discorso di Abusaber, se gli prosternarono ai piedi, domandandogli perdono delle mormorazioni loro sfuggite; gli attestarono la propria ammirazione per 1a pazienza colla quale aveva sopportate le sciagure, e protestarongli che quello che ne avevano udito, non faceva se non au-