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atto terzo 213


SCENA II

Cesare e poi Marzia.

Cesare. Quanti aspetti la sorte
cangia in un giorno!.
Marzia.  Ah! Cesare, che fai?
Come in Utica ancor?
Cesare.  L’insidie altrui
mi son d’inciampo.
Marzia.  Per pietá, se m’ami,
come parte del mio
difendi il viver tuo. Cesare, addio.
 (in atto di partire)
Cesare. Fermati! Dove fuggi?
Marzia. Al germano, alle navi. Il padre irato
vuol la mia morte. (Oh Dio, (guardando intorno)
giungesse mai!) Non m’arrestar: la fuga
sol può salvarmi.
Cesare.  Abbandonata e sola
arrischiarti cosí? Ne’ tuoi perigli
seguirti io deggio.
Marzia.  No: se è ver che m’ami,
me non seguir; pensa a te sol: non dèi
meco venire. Addio... Ma senti: in campo,
com’è tuo stil, se vincitor sarai,
oggi del padre mio
risparmia il sangue. Io te ne priego. Addio.
 (in atto di partire)
Cesare. T’arresta anche un momento.
Marzia.  È la dimora
perigliosa per noi: potrebbe... Io temo...
 (guardando intorno)
Deh! lasciami partir.
Cesare.  Cosí t’involi?