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260 iv - ezio


Ezio.  Nol credo.
(Contro lei non s’irriti.)
Valentiniano.  Il suo consenso
prima ottener procura:
vedi se tel contrasta.
Ezio. Quello sará mia cura: il tuo mi basta.
Valentiniano.  Ma potrebbe altro amante
ragione aver sopra gli affetti suoi.
Ezio. Dubitarne non puoi. Dov’è chi ardisca
involar temerario una mercede
alla man che di Roma il giogo scosse?
Costui non veggo.
Valentiniano.  E se costui vi fosse?
Ezio. Vedria ch’Ezio difende
gli affetti suoi, come gl’imperi altrui:
temer dovrebbe...
Valentiniano.  E se foss’io costui?
Ezio. Saria piú grande il dono,
se costasse uno sforzo al cor d’Augusto.
Valentiniano.  Ma non chiede un vassallo al suo sovrano
uno sforzo in mercede.
Ezio. Ma Cesare è il sovrano: Ezio lo chiede.
Ezio che fin ad ora
senza premio serví: Cesare, a cui
è noto il suo dover, che i suoi riposi
sa che gode per me, che al voler mio,
quando il soglio abbandona,
sa che rende e non dona, e che un momento
non prova fortunato
per téma sol di comparirmi ingrato.
Valentiniano.  (Temerario!) Credea,
nel rammentare io stesso i merti tuoi,
di scemartene il peso.
Ezio.  Io li rammento,
quando in premio pretendo...
Valentiniano.  Non più: dicesti assai; tutto comprendo.