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204 viii - adriano in siria


Adriano.   È vero.

Emirena. (Perché son cosí lieti?)
Osroa.   E pure, o figlia,
fra le miserie nostre abbiamo ancora
di che goder. Lo crederesti? Io trovo
nella bellezza tua tutto il compenso
delle perdite mie.
Emirena.   Che dir mi vuoi?
Adriano. Quella fiamma verace... (ad Emirena)
Osroa. Lasciami terminar. (ad Adriano)
Adriano.   Come a te piace.
Osroa. Tal virtú ne’ tuoi lumi (ad Emirena)
raccolse amico il ciel, che, fatto servo,
il nostro vincitor per te sospira.
Offre tutto per te; scorda gli oltraggi;
s’abbassa alle preghiere; odia la vita
senza di te, che per suo nume adora.
Adriano. Tu dunque puoi... (ad Emirena)
Osroa. (ad Adriano) Non ho finito ancora.
Adriano. (Mi fa morir questa lentezza.) (da sé)
Osroa.   Io voglio...
Senti, o figlia, e scolpisci
questo del genitore ultimo cenno
nel piú sacro dell’alma. Io voglio almeno
in te lasciar, morendo,
la mia vendicatrice. Odia il tiranno,
com’io l’odiai finora: e questa sia
l’ereditá paterna.
Adriano.   Osroa, che dici!
Osroa. Né timor né speranza
t’unisca a lui; ma forsennato, afflitto
vedilo a tutte l’ore
fremer di sdegno e delirar d’amore.
Adriano. Giusti dèi! son schernito.
Osroa. Parli Cesare adesso: Osroa ha finito.
Adriano. Sconsigliato! infelice! e non t’avvedi