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438 osservazioni sulla morale cattolica

la religione senza compromettersi, non dicevano che fosse falsa, ma cercavano di stabilire de’ princìpi incompatibili con essa, e sostenevano che questi princìpi ne erano indipendenti. Non s’arrischiando di demolire pubblicamente l’edifizio del Cristianesimo, gl’innalzavano accanto un altro edifizio, che, secondo loro, doveva farlo cadere1.

Ma questa filosofia morale «ha le sue basi nella ragione e nella coscienza; porta con sè il suo proprio convincimento; e dopo avere sviluppato lo spirito con la ricerca de’ princìpi, appaga il core con la scoperta di ciò che è veramente bello, giusto e conveniente.»

E cos’ha fondato, da sè, su queste basi? Ha prodotto un convincimento unanime e perpetuo? La sua ricerca de’ principi è riuscita a un solo e inconcusso ritrovato? Le sue scoperte del bello, del giusto e del conveniente sono anch’esse concordi? E appagano il core davvero? Se è così, può essere distinta dalla teologia: non ne ha più bisogno; o, per dir meglio, sarà la teologia stessa.

Ma se ha variato e varia secondo i luoghi e i tempi, non si potrà opporla alla morale cattolica, che è una. Sarà lecito domandare, prima di tutto, quale sia questa filosofia morale, di cui s’intende parlare; giacchè è indubitato che ce ne sono molte.

Ci sono due cose principali nella morale, il principio, e le regole delle azioni, che ne sono l’applicazione: la storia della morale, sia come dottrina popolare, sia come scienza, presenta, e nell’uno e nell’altre, la più mostruosa varietà.

In quanto alle regole basta, per convincersene, rammentarsi gli assurdi sistemi di morale pratica che sono stati tenuti da nazioni intere. Il Locke, volendo provare che non ci sono regole di morale innate, e impresse naturalmente nell’anima degli uomini, ne ha citati esempi in gran quantità2. Egli è andato a cercarne la maggior parte tra i popoli rozzi e

    da un principio e da una forza soprannaturale), fanno così certamente, come se ci fossero astretti da una legge. Una splendida eccezione a questa sono i primi cristiani, i quali, in faccia alla persecuzione, seppero unire, in un grado mirabile, sincerità, pazienza e resistenza. Che sapienza divina nel precetto di fuggire dalle persecuzioni! Siccome non si poteva uscirne che con la morte o con l’apostasia, così l’uomo non doveva esporsi a una prova tanto superiore alle sue forze ma doveva sostenerla, quando fosse inevitabile. Non si sarebbe potuto immaginare un disegno che, secondo la prudenza mondana, desse meno speranza di riuscita, di quello che escludeva i vantaggi dell’audacia e quelli della destrezza, i vantaggi che vengono dal transigere, dal pigliar tempo, dall’ingannare chi vuole opprimere. La regola del cristianesimo non lasciava a’ suoi difensori, quand’erano in presenza del nemico, altra scelta che quella di morire senza fargli danno. Certo, ogni saggio mondano avrebbe pronosticato che una tale religione, doveva rovinare infallibilmente e in poco tempo, meno che i suoi partigiani, avendo imparato subito, a loro spese, a conoscere un po’ più gli uomini, non cambiassero il metodo di propagarla. Il mirabile è che si stabilì e si diffuse con la fedeltà a quelle prescrizioni.

  1. Questo capitolo era già steso quando seppi che la stessa questione era stata recentemente discussa da un rispettabilissimo apologista della religione (Analisi ragionata de’ sistemi e de’ fondamenti dell’ateismo e dell’incredulità, Dissertazione VI, cap. II). Nondimeno ho creduto bene di lasciarlo tale quale, non importando di trattar cose nove, ma cose opportune; e sono sempre tali quelle che riguardano un punto contrastato posteriormente da uno scrittore distinto
  2. Saggio sull’intelletto, lib. I, cap. II. Dopo il Locke, si volle, da questi fatti e da altri di simil genere, cavare una tutt’altra conseguenza, cioè che la moralità stessa sia una cosa di mera convenzione. L’Helvetius ne citò anche di più, per provare che, in tutti i secoli e ne’ diversi paesi, la probità non può essere altro che l’abitudine dell’azioni utili alla propria nazione. Disc. II, tap. XIII. Qualche scrittore, insorgendo, con ragione e con dignità, contro questo sofisma, che confonde l’idea della giustizia con l’applicazione di essa, parve quasi disapprovare la ricerca stessa di questi fatti. Philosophie de Kant, par C. Villers, pag. 378; e più espressamente Mad. de Staël; De l’'Al-