Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/109

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quanto grande stima io faccia di questo sommo! colla sua sola autorità mi renderebbe affatto convinto». A me poi nel ripensarti sovente alla grandezza di quel divino ingegno, sembra indegna cosa, che mentre il volgo de’ Pittagorici giura nelle sole parole del suo maestro, si voglia chiamar Platone a render conto di quello che afferma. Ma, a non andar troppo lontano dal mio proposito, di tanto e l’autorità e la ragione e l’esperienza mi mostrarono evidente questa sentenza di Platone, che io non dubito di riguardarla siccome d’ogni altra la più vera e santa. E tanto mi fece di bene che, sorretto dal celeste aiuto, giunsi a rilevarmi di terra, e con incredibile ed immensa dolcezza conobbi ciò che nel presente fosse il mio meglio e nel passato il mio peggio. Ora poi, che tratto dal mio peso ricaddi nell’antica miseria, amaramente comprendo ciò che m’abbia una seconda volta perduto. Nè per altro queste cose riandò, che per chiarirti del quanto mi giovasse il conoscere ab esperto quel domma di Platone.

A. — Non me ne maraviglio; che io presente a’ tuoi combattimenti, ti vidi precipitare e risorgere; e adesso mosso da compassione men venni a stendere la mano al caduto.

P. — Ringrazio la tua affettuosa pietà, e