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130 poemetti allegorico-didattici

XLII

     I’ credo, Amor, che ’nfin ch’i’ non dimagro
sicché quasi divegna come stecco,
voi non direte: «Di costui i’ pecco,
4che l’ho tenuto e ’l tengo tanto ad agro».
Ma tuttavolta saramento sagro
vi posso far senza mentir del becco,
ch’ai dolor mio non è nessun parecco,
8sí forte ’l sento: ond’io giá no’ m’apagro

     finché compiuto avrò il vostro grado,
o che pietá voi averete incontra
11li la gran durezza, che mia vita spegna.
Qual d’esti due che brevemente avegna,
dará riposo a lo mi’ cor, e montra,
14ch’a valle è tanto, piú non trova grado.

XLIII

     Amico, tu fai mal che ti sconforti
e ti lamenti sí di starmi servo,
dicendo ch’i’ ti son crudo ed acervo,
4vogliendoti però gittar tra i morti.
Non pare a me che ’n quella guisa porti
tua sofferenza, che ’n quel ch’i’ conservo
ti sia donato. Se, como lo cervo,
8non ti rinnuov’in saccenti ed accorti

     piaceri, e ’n soferir con be’ costumi
quanto che piacerá a me di darti,
11anch’io conoscerò lo tu’ cor dentro.
Ché ’n dar gioí’ a villan giá non mi pentro;
onde ti pena di cortese farti,
14acciò ch’io brevemente ti rallumi.