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346 o giovannino o la morte

aveva, specialmente con la matrigna, tale una cortesia di modi, che questa feroce donna grassa, bitorzoluta e coperta d’oro, pareva incantata. Ora, ogni tanto, Giovannino si spingeva a parlare del loro avvenire, con Chiarina: costei lo ascoltava, beata, come se la più soave musica le risuonasse all’orecchio. Prima di rispondere, intimidita levava gli occhi sulla sua matrigna: poi rispondeva sottovoce, sempre timidamente. Una sera parlavano di corredo, di tela, di mussola, di quanto ci vuole, per cucire a macchina, una camicia, una sottana.

— Per una camicia, ci metto due giorni, — calcolava Chiarina, trasportata dal discorso, — per una sottana, un sol giorno.

— Ci metti di più. ci metti di più, — osservava la matrigna, intervenendo.

— Credi pure che ci vuol più tempo, Clara, — soggiungeva, sorridendo, Giovannino, scuotendo la cenere bianca della sua sigaretta.

Dolci discorsi! L’indomani, Chiarina vide portare in casa da un facchino, che faceva i grossi servizi, due pezze grosse, una di finissima tela di Olanda, una di buona mussola. La fanciulla, tutta felice, palpava la tela per sentirne la finezza, stropicciava la mussola per farne cader l’amido, quando impallidì, accorgendosi di una cosa. Le pezze di tela e di mussola portavano un timbro, un timbro curioso: ella capì subito che era dell’agenzia di pegni e spegni di sua matrigna. Impallidì, tremò: