Ai Militi Concittadini

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Gaetano Morino 1847 Indice:Morino - Ai militi concittadini.djvu Ai Militi Concittadini Intestazione 5 settembre 2019 100% Da definire


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AI MILITI CONCITTADINI


DISCORSO


di


GAETANO MORINO


SACERDOTE ROMANO








ROMA

TIPOGRAFIA DI CLEMENTE PUCCINELLI IN VIA LATA N.° 211.


1847.




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MILITI CONCITTADINI





Il giorno della prodigiosa esaltazione dell’immortale PIO NONO al più sublime de’ troni, sarà un giorno che nella storia de’ secoli splenderà con eterno meriggio. Le più tarde generazioni rammenteranno, che appena questo Inviato del cielo si mostrò dal Quirinale per benedire il popolo suo, un arcano ma non fallace presentimento alla città de’ sette colli, anzi al mondo universo annunziava vicina l’epoca di mirabili avvenimenti. Infatti il magnanimo cuore di PIO palpitava sul trono; era quello il palpito della carità, e della compassione. - PIO, così voce superna gli favellava, sommo PIO, oh quanti de’ tuoi figliuoli nella oscurità delle torri, nello squallor delle carceri piangono pentiti un fallo, che pronti sarebbono a cancellare col sangue! Una tua parola può ridonarli alla patria, alle famiglie, alla società; e la Chiesa, ah si! la Chiesa andrà lieta di rivederli dinanzi all’ara del Dio vivente detestare sinceramente l'errore, giurare al trono fedeltà irretrattabile, e voti porgere al cielo perchè dono ti faccia di lunghi giorni e felici. Scrivi dunque, o gran PIO, scrivi la consolante e più che umana parola. - Io vi perdono.

Ma ignora fors’Egli l’enormità de’ falli, le leggi che li condannano, la forza de’ mali esempi, i santi vincoli della patria spezzati, l’ordine civile sconvolto, la maestà del trono e il cuor paterno del Principe offesi? Nulla ignora. Dunque?... Dunque Egli è deciso di mostrare al mondo universo il trionfo più bello di quanti ne rammentino le istorie. Pare a me di vederlo questo sommo de’ [p. 4 modifica]Sacerdoti e de’ Principi, in atteggiamento più che mortale, scrivere con penna d’oro la formola del perdono. La scrive, e gli Angioli della pace spiccando dal Quirinale il volo, ne recano il lieto annunzio a tutti quanti i popoli della terra. A quest’annunzio si alza alle stelle un grido universale di gioia, l’inno della lode e del ringraziamento fiorisce sul labbro di ognuno, e dall’uno all’altro polo nella esuberanza del giubilo tutte le genti esclamano:

«Evviva l’augusto mitissimo Pio,
«Ha l’opre quai l’ebbe l’Agnello ch’è Dio,
«Ne infiora la terra, disserrane il ciel!

Quest’atto magnanimo del clementissimo Pio fu coronato da una pace, da un ordine, da un’armonia universale, onde non solamente Roma, ma il mondo tutto parve in istanti rinnovellarsi. Pel corso non brieve di un anno mai non si cessò dal rendergli con pubbliche solennissime feste, testimonianze di amor sincero, e d’indelebile riconoscenza. Se non che la società ebbe mai sempre nel suo gran corpo certe anime vili, vitupero eterno, eterna vergogna della stirpe umana. Elleno nella viltà superbe, nella superbia impazzate, nella demenza disperatamente furiose, ogni atto incomparabile sprezzano, mirano con invido sguardo la gloria degli uomini grandi; e la felicità de’ popoli è per loro una furia che le agita senza posa, è una face che le accende ad attentati esecrandi. E Roma, la nostra Roma nel più lieto de’ giorni, perchè nell’anniversario del sovrano perdono, esser doveva funestata dal più enorme delitto. Una catastrofe luttuosa sovrastava all’augusta reina del mondo in mezzo all’esultanza, al tripudio, al festeggiamento solenne di tanto cara memoria. Dio però vegliava dall’alto, e si rideva degli uomini tristi e nefandi. Eglino [p. 5 modifica]dall’orgoglio acciecati non si erano avveduti ancora, che Roma da lunga stagione disprezzata ed oppressa, ridestato avea la virtude antica, e scosso dalla cervice maestosa quel giogo pesante di sventure, le quali se bastarono a farla gemere, non però furon bastevoli ad avvilirla giammai. Ma quel sommo Genio, ch’è Pio, avea bene avvertito, perchè opera della sua saviezza e de’ suoi vasti pensieri, che Roma ravvivato avea novellamente la nobile fiamma del valor primiero. Vide ch’Ella bastar poteva a se sola; vide che sull’impavida fronte le splendeva ancora l’invidiato diadema; vide che nel petto matronale portava scritto ancora - Io sono la Regina dell’Universo. Quindi i Romani chiamava alla difesa dell’Altare e del Trono, alla custodia de’ civili diritti, al mantenimento della pubblica tranquillità, alla tutela d’ogni privato, e pubblico bene. Alla sua voce tutti muoveano volonterosi ed affollati a dare il proprio nome, beati reputandosi di servire un Sovrano, cui chi non ama, egli è meno che uomo. Questa provvida disposizione da Dio spirata, annunziata da PIO, dal Romano popolo più che volentieri abbracciata, fu lo scudo che salvò Roma dalle inique macchinazioni degli empi.

Era innoltrata la notte del 15. Luglio, ed un timore non vano d’imminente sciagura, agitato teneva il cuor d’ognuno. Quando voce imperiosa i novelli militi incoraggiava a vestire le armi per la difesa comune. Il fatto andò quasi del pari colla parola. Bello fu vedere gli arruolati involarsi sull’istante agli amplessi de’ loro cari, uscire in fretta da’ paterni tetti, correre non solo, ma volare intrepidi a cingersi dalle armi, e mettersi di presente in guardia per la difesa del Sovrano, della città, delle famiglie, delle sustanze. Che più? Le armi [p. 6 modifica]non bastarono al numero degli accorsi, e molte schiere si videro tener dietro a que’ magnanimi, invidiando la loro sorte. Così la trama de’ nemici fu tronca, e la macchina da loro architettata a danno di Roma ruinando scrollò.

Viva PIO! Viva Roma! Viva i militi concittadini!

Sì, o magnanimi. Io mi vanto di avere con voi se non comune la sorte, comune almeno la patria. Dacchè PIO salì sul trono del Vaticano, desio mi punse di scrivere una pagina non per accrescere la sua gloria incomparabile, sibbene per tributargli un omaggio del mio affetto, e della mia venerazione. Ma tante penne illustri, che si occuparono infaticabilmente a celebrarne le gesta meravigliose, dalla desiderata impresa spaurato mi risospinsero. In questa occorrenza però più frenarmi non seppi, che troppo mi commosse il vedere, che voi, miei cari concittadini, foste i prescelti da Pio ad accelerare e stabilire in gran parte la condizione felice, ch’Egli allo Stato tutto, ma in modo peculiare alla città nostra, va procacciando incessante. Laonde s’Egli è mirabilmente meritevole di encomio per avervi con quest’alto addimostrato il conto grande che tiene dell’amor vostro, della vostra fedeltà, e del vostro moderato coraggio; a voi conviensi del pari tributar lode per avergli dato, in tratto sì brieve di tempo, pruove non poche e non fallaci di coraggio, di fedeltà, di amore. Sì, militi Romani, questa onoranza di lode fu da voi meritata, ed io ve la rendo. Voi consolaste il cuor paterno di Pio da gravi sventure ahi troppo! sconfortato; ma sempre grande, sempre forte, sempre maggiore de’ sinistri eventi. Lo consolaste con la pronta ubbidienza nello ascrivervi, lo consolaste nel prendere a difesa della sua sacra [p. 7 modifica]Persona con tanta gioja le armi, lo consolaste per la moderata ed accorta vigilanza onde ogni tentato perturbamento restò deluso, lo consolaste da ultimo per l’alto impegno, che vi sospinse fin qui ad apprendere con tanto di alacrità il maneggio dell’armi. Ma se Pio fu da voi consolato, Roma, la nostra Roma fu in gran parte tutelata da voi. Egli fu per opera specialmente vostra, che l’ordine videsi ricomposto, la tranquillità ridonata, ogni pubblico e privato bene insieme con le persone difeso. Si levi adunque da’ sette colli, si levi festevole un inno di lode, e voi, militi concittadini, graditelo cortesemente. Voi ne siete degni. Il Sommo Pio ve lo ha procacciato, voi meritato lo avete, e Roma, la patria vostra, si compiace di tibutarvelo.

Questo è l’encomio che a voi si debbe per lo passato; abbiatevi ora un incoraggiamento per lo avvenire. Un folto velame nasconde a sguardo mortale gli avvenimenti futuri. In ogni secolo però l’inferno in alleanza stretto coi tristi, mai non ha cessato di muover guerra al trono del Vaticano. Ogni forza umana ha tentato di scuoterlo, di scrollarlo, benché il dito di Dio vi abbia scritto intorno con caratteri non cancellabili per lungo volger di secoli: - Questo trono è mio: guai a chi lo tocca! - Che però voi, miei concittadini, esser dovete preparati ad ogni vicenda. Dio, PIO NONO, la Patria: ecco le tre ricche fonti, donde attinger potrete il coraggio in ogni evento. Uno sguardo al cielo, e vedrete il Dio degli eserciti che per voi, e con voi combatte. Uno sguardo al Quirinale, e vedrete Pio qual novello Mosè sul monte, animarvi con la sua beata presenza, e colle sue braccia verso il cielo innalzate darvi un segno non fallace della vittoria. Uno sguardo finalmente alla [p. 8 modifica]patria, e vedrete Roma che mostrandovi i suoi trofei, ricordandovi le sue glorie, glorie e trofei che sotto il vessillo di Pietro acquistò, v’insegnerà che infelice non è, chi per la giusta causa ancor morendo, può dire alla patria:

«Alma terra natia,
«La vita che mi desti, ecco ti rendo.

Coraggio adunque, militi Romani, coraggio. La gloria precederà le vostre schiere, le accompagnerà il valore, l‘onore le seguirà. All’elogio, all’incoraggiamento, discaro non siavi che succeda un ricordo. E qual sarà egli mai? Eccolo: - Amate PIO NONO - Amatelo come Capo Visibile della Chiesa, e vostro sia l’impegno di addimostrarvi mai sempre figli non degeneri di tanta madre. Amatelo come Sovrano, e dall’esempio vostro tutti apprendano il rispetto per la sua Augusta Persona, e l’osservanza esatta e costante di ogni suo volere. Amatelo col labbro, e suoni mai sempre inneggiato il suo nome; amatelo col cuore, e pregategli sempre lungo impero e felice. Amatelo, perchè Egli ama voi, ama la città vostra, ama la vostra felicità.

O sommo Pio, la novella Romana milizia, sì Ella vi ama. Già pervenne al Vostro gran trono la fama di belle opere sol per amore alla sacra vostra Persona coraggiosamente intraprese, e felicemente compiute. Voi la udiste, e ne provaste incomparabile consolazione. Apriste in quel punto le paterne braccia, sollevaste gli occhi al cielo, deste col cuore alla Romana milizia un dolcissimo amplesso, e, figli miei, diceste, figli miei vi benedica Iddio, e presto compia l’unico voto del mio cuore, che è il voto della vostra felicità.