Alessandro Manzoni (De Sanctis)/Appendice/I. Del romanzo storico e dei «Promessi Sposi»/Lezione V

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APPENDICE
I. Del romanzo storico e dei «Promessi Sposi»
Lezione V

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I. Del romanzo storico e dei «Promessi Sposi»
Lezione V
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Lezione V

Il romanzo ha raccolto l’eredità dal poema epico; è esso il poema epico moderno. Tra questi due generi, oltre la differenza del verso e della prosa, conveniente l’uno alla rappresentazione di un mondo eroico, e l’altra a quella del mondo moderno, vi è una differenza ancora più profonda. Nell’uno prevale la forma descrittivo-narrativa, nell’altro la forma drammatica. Perché nel primo l’interesse è nel puro fatto, nella semplice esteriorità, e ciò che vi è al disotto, i motivi da cui procede, o traspare a lampi o viene fuori sotto forma mitica e simbolica, vale a dire anche in forma di fatto. In tempi più civili, quando l’uomo addentrandosi nel fatto vi scopre le passioni e i caratteri onde muove, succede il dramma. Nel dramma è tolta via la descrizione e la narrazione; il poeta sparisce e rimangono in scena i personaggi che parlando si rivelano in quello che hanno di più intimo. Quando il ciclo epico dà luogo al romanzo, questo dapprima, come anche il dramma nei suoi rozzi inizi, imita l’epico, abbandonandosi alle descrizioni ed ai racconti. Ma poi divien conscio della sua forma ed il drammatico prevale. Abbiamo veduto che il Manzoni non è affatto immune da queste reminiscenze epiche, e più di una descrizione meriterebbe di esser tagliata via. Ma presso lui è raro ciò che avviene sì spesso nei romanzieri italiani, così vaghi di descrizioni, così prolissi nei racconti. Ora ciò che allontana il Manzoni da questa schiera volgare, è il suo talento drammatico. Il fatto sotto la sua penna si trasforma e si eleva a situazione, cioè il fatto è condotto in modo che ne scappano fuori sotto la loro forma spirituale le passioni e i caratteri. Abbiamo esaminato le situazioni particolari del romanzo; ora daremo uno schizzo della situazione generale.

L’azione muove da don Rodrigo. Negli epici anche il malvagio ha la sua statua; dotato di energia, di forza, di qualità superiori, incute ammirazione. Il Manzoni ha decapitata questa statua e ridottala a proporzioni affatto moderne. Don Rodrigo è un impasto d’insolenza e di vigliaccheria; adulatore fino del dottore Azzeccagarbugli, amico delle vie sotterranee, [p. 322 modifica]messosi attorno a Lucia solo per vanità e puntiglio, gli manca ogni grandezza di carattere, di passione ed anche di una certa depravazione morale che spaventa; è un uomo volgare, che fa il male con leggerezza, e ricorre all’intrigo più che alla forza. Il suo contrapposto è il padre Cristoforo. Non è la forza che combatte la forza, non è il cristianesimo armato di un potere temporale; il mezzo di resistenza è nella sincerità della convinzione, nella efficacia dell’idea. Il padre Cristoforo vince con la sola forza delle parole; una vittoria però tutta morale. Don Rodrigo rimane interdetto innanzi a lui, e quella mano levata lo fa star pensieroso ed inquieto nel suo salotto. Ma se nei personaggi cristiani non vi è azione, vi è un attore secreto che supplisce, ed è la provvidenza. Cosi a don Rodrigo vien fallito il primo ed il secondo tentativo contro Lucia, ed in ultimo espia con una morte crudele il mal fatto. Nondimeno la provvidenza non vi sta nella sua forma sovraumana o epica, si cela sotto l’aspetto del caso. I fatti sono orditi di maniera che tutto avviene apparentemente per una concatenazione umana di cause e di effetti, di sotto alla quale s’intravvede la mano divina. Questa contraddizione tra i due estremi viene a riconciliarsi in ultimo nelle immagini serene dell’amore e del perdono. In mezzo ai due estremi giace don Abbondio, tirato in qua e in là da cagioni estranee al suo volere: l’elemento comico nel quale il mondo ideale trova il suo risalto.

È una creazione originale, entrata già a far parte della letteratura europea. Nei tempi moderni compariscono tre tipi comici, Sancio Panza, don Abbondio e Mefistofele. Il primo è opposto al mondo cavalleresco; ed è il comico nella sua natura più volgare e prosaica. Il secondo è opposto al mondo morale cristiano; ed il comico nasce non più dal desiderio volgare, ma all’impotenza a seguire quel mondo che pure si confessa. Onde nasce la scena originale tra Borromeo e don Abbondio. Il terzo è il comico ironico e veramente satanico, che s’innalza sopra le rovine del mondo religioso e morale, il comico dello scetticismo.

Né vogliamo preterire che l’Italia dee ancora al Manzoni l’eloquenza sacra, di cui è sì povera, e lo stile e la lingua comica, difettosa nel Goldoni e negli altri comici italiani.