Annotazioni numismatiche italiane II
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ANNOTAZIONI
NUMISMATICHE ITALIANE
II.
Ad evitare ripetizioni nel segnare la Collezione per le monete contenute in questo secondo articolo, dirò fin d’ora che appartengono tutte a S. A. R. il Principe di Napoli. Questa splendida Collezione di Italiane, che ora è sui 14000 pezzi ma che va di giorno in giorno aumentando, può dare argomento a molti articoli colle sue inedite, fra le quali ho spigolato per questo saggio. E qui, per sentimento di ammirazione e di gratitudine non voglio tacere, che S. A. R. ai suoi alti meriti numismatici aggiunge pur quello della più generosa ed illimitata liberalità. Mentre egli potrebbe illustrare degnamente la propria Collezione colla pubblicazione delle inedite, gode invece nel formarne per altri i calchi, che accompagna colle sue osservazioni sempre argute e sempre esatte, a facilitare il lavoro altrui. Nobile esempio, che dovrebbe esser imitato massime da taluni, che non amano di far vedere le proprie raccolte, le quali in tal modo inutili per la scienza, finiscono per diventare dei miti.
CASA SAVOIA.
Non è ben visibile quella lettera o segno dopo il nome del Duca, che parmi lo stesso che trovasi sul quarto riportato dal Promis al n. 101.
È nuovo ed interessante questo tipo del Duca Carlo I specialmente pel dritto. Non saprei a quale delle monete citate nelle Tabelle degli ordini di battitura del Promis, possa convenire; probabilmente non vi è compresa. Dovendosi ammettere che il peso originale debba esser stato molto più forte, non vi sono che due sole monete che gli si avvicinino alquanto: il da grossi 2 battuto nel 1483, e la parpagliuola del 1485. Ma il primo è di argento fino: il secondo combinerebbe anche per il titolo, che nella moneta in discorso si dimostra inferiore ai 400 mil.; ma pare difficile che siasi temporaneamente variato il noto tipo della parpagliuola, colla croce accantonata dai lacci in quattro archetti.
È una nuova variante del testone di Carlo II, distinta specialmente per la foggia del busto e per la corona chiusa al di sopra. Questa forma la si vede press’a poco eguale sullo scudo d’oro dello stesso Duca riportato dal Promis2. Non saprei a qual zecca assegnare questo testone, perchè i cenni intorno alle zecche, segni e sigle del nostro autore, non potendo contenere tutte le lettere e segni conosciuti in oggi, non ci danno lume nel caso presente.
LOANO.
A qual Principe, a quale delle zecche dei Doria apparterrà quest’ongaro? La risposta non è facile. Documenti che accennino a questa specie di moneta, ne conosciamo uno solo: la locazione della zecca di Carrega3 nella quale è fatta menzione di monete d’oro, ongari etc, che si dovevano coniare dal 1669 in poi. Ma il fatto della restituzione della intera somma anticipata, che il Duca fece al zecchiere tre anni dopo, fa ritenere che quella zecca non abbia mai funzionato. Contuttociò, pare probabile che quel contratto non contenesse novità, e che si volesse fare in Carrega nulla di più di quanto erasi fatto fino allora nella zecca principale di Loano, dove eransi coniate monete d’oro e probabilmente anche ongari.
In conclusione, dovendo limitarci a congetture, dirò che per la specie, per l’impronta, per i titoli usati e per l’insieme di tutti i caratteri, son convinto che il presente ongaro spetti al Principe Giov. Andrea II, e conseguentemente alla zecca di Loano.
FOSDINOVO.
Dato uno scopo molto disonesto, quale era quello dell’enorme guadagno nel commercio dei luigini pel Levante, è curiosissima cosa il vedere, quanto studio mettesse ognuno nel trovar modo di porre in salvo la propria coscienza. Bisognava per questo, convincere se stesso e gli altri, che i gigli col lambello degli Orleans non erano già messi lì per ingannar gli orientali, cioè per far loro ricevere moneta scadente in luogo di buoni luigini Francesi; ma che si improntavano quei segni, solamente per raffigurare delle aquilette, delle alabarde, dei fiori ed altri oggetti. Vedansi infatti alcuni di quelli dei Dona, quelli di Lucca, ed altri anonimi non ben studiati, fra i quali qualcuno di Campi. Ma una moneta come questa, nella quale il simbolismo avesse raggiunto più sublimi altezze, non era ancor venuta alla luce. Lasciando da parte il dritto, la cui testa muliebre dovrebbe essere una Venere poco bella: il rovescio, che avrebbe dovuto darci gli attributi della testa del dritto, vuol rappresentare invece i simboli dell’agricoltura, letti a chiare note nell’arme d’Orleans, E con ciò, ci troviamo ben più avanti che non eravamo coi Doria e coi Lucchesi; perchè se quelli spiegavano i gigli senza accennare al lambello, qui invece ogni oggetto trova il suo significato. I tre gigli, non sono gigli: non vedete voi, che ognuno d’essi rappresenta una punta o di zappa o di vomere tra due falci, MVCRONES ET FALCES? Ed il lambello a denti? ma è un rastrello, RASTRVM, chi ne potrebbe dubitare? E con questo, risum teneatis!
E poiché siamo sull’argomento dei luigini anonimi, dirò qui francamente che le assegnazioni di questi alle diverse zecche molte volte sono state fatte a casaccio o per difetto di critica o per mancanza di dati. Alla deficienza di questi ultimi ha provveduto in parte il materiale ingente provenuto dal ripostiglio di Andros. Circa alle assegnazioni generalmente ammesse per la zecca di Fosdinovo, dichiaro che fino ad ora non sarei propenso a riconoscere che le seguenti.
1. Luigino colle legg. | HANC ASIAM MERCEM QVERIT — QVIS DICET LILIA SPINAS · 1667 · , perchè l’allusione allo stemma della famiglia è manifesta. |
2. " " " | IN PVLCRITVDINE VIRTVS - BONITATIS VNCIARVM QVINQVE 1668, perchè ha il il sole in principio di legg. al rov. |
3. " " " | IN PVLCRITVDINE VIRTVS - IN SPINAS CERVLEA FLORENT · 1668 ·, per l'allusione allo stemma, e per analogia con altri che hanno il titolo della Marchesa collo stesso rovescio di questo. |
Rigetto assolutamente il luigino anonimo illustrato dal Kunz5 e dal Rossi6, che ha le leggende PVLCRA VIRTVTIS IMAGO ~ BONITATIS VNCIARVM QVINQVE 1668. Questo luigino, ha i gigli di una forma speciale cioè coll’estremità inferiore biforcata, propria dei Doria7. Poi, si distingue per il carattere della testa, che si stacca completamente dagli altri che più o meno tentarono di imitar quella di Dombes; testa eguale a quella dei nn. 11 e 12 del Gnecchi8, il quale osserva giustamente, che deve essere un vero ritratto. Or bene, per me è indubitato, che tutti i luigini che mi son passati tra le mani con questa testa, appartengano ai Doria; come vi appartengono altri che sebbene presentino questa testa d’alquanto modificata, riuniscono in sé molti caratteri di questi.
I caratteri che mi hanno guidato, e che si ritrovano sempre uniti in numero non inferiore a due, sono i seguenti:
1. Il carattere della testa, come sopra ho detto.
2. Una forma speciale dei gigli, colla parte inferiore biforcata, già accennata.
3. Altra forma speciale in molti, della parte inferiore dei gigli fatta a triangolo colla punta in basso. Forma presentata dal n. 9 del Gnecchi, art. cit., del quale ebbi un calco, e poi ritrovai un esemplare e ch’egli attribuisce giustamente a Loano per la leggenda del dritto.
4. Due cifre arabiche che si trovano sul luigino ora citato, ed in altri.
5. La corona fiorata. È da notarsi che nei luigini certi dei Doria, non troviamo che un solo caso di corona gigliata, e nel 1666 solamente.
Oltre a questi, sonvene altri meno importanti, come la forma della cifra 1 in alcuni; le lineette tra lo stemma e la corona, a denotare la parte posteriore di quest’ultima, e la leggenda del dritto più comune nei Doria; non basterebbero da soli, ma concorrono sovente a confermare un primo giudizio. In tal modo ai Doria verrebbero dati altri 8 o 9 luigini anonimi tra i quali qualche variante ancora inedita.
Di questo bel luigino, non posso dir altro se non che è inedito ed è certamente italiano; ma non ho dati nè indizi per ora, che mi possano suggerire anche lontanamente l’assegnazione ad una, piuttosto che ad un’altra officina. Non è comune la particolarità dei fiori in luogo dei soliti gigli araldici. Gli autori hanno certamente inteso di rappresentare dei veri gigli, come lo indica la leggenda simbolica relativa, PVRITATE ET CANDORE. Per questo, trova un riscontro nel luigino distinto colle leggende PARTES VOLVPTATI — ORIENTALIVM DICATÆ, nn. 5243 del Poey d’Avant, 111 del Mantellier e 44 del Rossi. — Anche per quest’ultima moneta non ardirei pronunciarmi.
La serie bolognese, rappresentata con poche monete e con soli 22 Papi fino al 1666 dallo Schiassi: che acquista poi altri 10 Papi nello stesso periodo, raddoppiando quasi le monete dal Cinagli, più la continuazione fino al 1848: riceve ora una importantissima aggiunta colla presente moneta di Pio III. Questo Papa, non era fino ad ora rappresentato numismaticamente che a Roma, con due leggere varianti di un ducato. A proposito di questa moneta romana, sarà utile di porre in guardia i collettori contro le falsificazioni che vanno in giro da alcuni anni. Ne capitarono alcune in Firenze, ora bene ora male eseguite. Una specialmente, era fatta tanto bene da lasciarci quasi perplessi sul giudizio, ma si riconobbe assolutamente falsa per il peso. Il tondino era molto sottile, cosicché la moneta, quantunque benissimo conservata e non tosata, non raggiungeva neppure i tre grammi, cosa non compatibile colla zecca romana. Pare accertato che tali pezzi vengano fabbricati nella stessa patria dei Piccolomini.
Il tipo della presente moneta, è quello già usato in Bologna prima di Pio III, e che fu continuato anche dopo di lui unitamente al nuovo tipo col San Petronio. L’armetta, è quella dell’ultimo legato sotto il predecessore Alessandro VI, cioè del Cardinale G. B. Orsini, che si vede sul n. 7 del Cinagli.
Perugia vantava una buona serie papale, perchè tre Papi, cioè Leone X, Paolo III e Giulio III, vi erano rappresentati da diverse monete d’oro. L’ultimo tuttavia, non aveva improntato il nome che sulle monete d’argento, compresovi il bel doppio giulio edito dal Vitalini9; ma d’oro non aveva che le anonime coll’armetta del legato Card. Ciocchi10.
La Collezione di S. A. R., che già possedeva un bel numero di monete perugine, tra le quali un bel scudo d’oro di Paolo III colla leggenda LIBERTAS ECLESIASTICA, ha avuto anche questa prima moneta d’oro col nome di Leone X. In questa è riprodotto quasi fedelmente l’impronta del grosso n. 6, tav. II del Vermiglioli, ma colla giunta dell’armetta.
Due erano i tipi del ducato conosciuti di Papa Calisto III: quello col Santo in piedi, e l’altro della navicella. Questo coi due Santi, sebbene già usato sulle monete d’argento, appare solamente ora per la prima volta sull’oro.
Nel presente ducato si manifesta una curiosa anomalia, che il lettore avrà rilevata, la sconcordanza cioè tra le forme paleografiche delle due faccie della moneta. Premetto, che tanto alla prima impressione come ad un attento esame, questa moneta si dimostra assolutamente genuina ed autentica; anzi, osserverei che, dato e non concesso fosse opera di falsario, questi sarebbe artista di tanto valore, da non esser capace di un errore così grossolano. La cosa è spiegabilissima, quando si consideri che il cambiamento nella forma delle lettere, avvenne precisamente in quell’epoca. Infatti, le monete romane di Pio II successore di Calisto, hanno le nuove lettere. Questo nuovo ducato, ci apprende per conseguenza che prima della fine del brevissimo pontificato del Borgia, venne intagliato il nuovo rovescio con lettere moderne: rovescio, che fu posto in opera col dritto solito. Lo scopo, che era quello di aver due Santi in luogo di un solo, era raggiunto; quanto alla sconcordanza paleografica, non eran gente allora da scomporsi per così poco, e molti troveranno che non aveano torto.
- Firenze, Luglio 1896.
Giuseppe Ruggero.
Note
- ↑ Monete dei Reali di Savoia, Vol. Tavole in Carlo I.
- ↑ Supplemento pubblicato nel 1866, n. 16.
- ↑ Olivieri A., Monete, etc. dei Principi Doria, etc. Genova, 1858, p. 24.
- ↑ Zanetti, Nuova raccolta delle monete, etc. Vol. V, Tav. XX ed E. Gnecchi, Appunti di numismatica, etc. in Rivista Italiana, a. IV, p, 137.
- ↑ In Periodico Strozzi. Vol- III, pag. 275 e n. 8, tav. X.
- ↑ In nozze Malaspina Giacobazzi, n. 39 e 13 della tav. II.
- ↑ V. Luigino n. 105 del Mantellier, Notice sur la Monnaie de Trévoux, mal disegnato nel Poey d'Avant, colla legg. simvl tvtantvr et ornant, rappresentato in tutte le principali raccolte.
- ↑ Appunti di Numism. Italiana, in Riv. It. A. IV, pag. 142-143,
- ↑ In Bullettino di Camerino, Vol. I, pag. 17.
- ↑ Vermiglioli, Della zecca Perugina, 1816, nn. 58 e 59 e tav. I, nn. 1 e 3.
- Pagine con link a Wikipedia
- Testi in cui è citato Carlo Kunz
- Testi in cui è citato Umberto Rossi
- Testi in cui è citato Filippo Schiassi
- Testi in cui è citato Angelo Cinagli
- Testi in cui è citato Papa Leone X
- Testi in cui è citato Papa Paolo III
- Testi in cui è citato Papa Giulio III
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- Testi in cui è citato Papa Callisto III
- Testi in cui è citato Papa Pio II
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