Antropologia/XVII

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XVII. Antichità e progressivo incivilimento dell'uomo

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XVII. Antichità e progressivo incivilimento dell'uomo
XVI XVIII


Si è creduto lungamente che l’antichità dell’uomo non risalga che a sei mila anni o poco più; ma la geologia ci ha condotti co’ suoi studii ad un risultato ben diverso.

Se vogliamo misurare il tempo che separa il presente dal punto, sino al quale giungono le nostre notizie relative all’esistenza della specie umana, fa d’uopo conoscere la misura che ci viene fornita dal geologo. Questo divide il tempo sinora trascorso dal primo albore della vita in diverse epoche geologiche, per cui distinguonsi l’epoca primaria o paleozoica, la secondaria, la terziaria e la quartenaria. In cadauna delle suddette epoche una fauna peculiare popolava il nostro globo, e pel nostro scopo giova notare che l’elefante meridionale ed il rinoceronte leptorino sono dell’epoca terziaria; mentre l’elefante primigenio o mammouth, la jena spelea, l’orso speleo, ecc., sono specie estinte dell’epoca quaternaria.

L’esprimere con un numero preciso di anni la lunghezza del tempo trascorso, è oggi un’impresa superiore alle nostre cognizioni. Noi non possiamo farcene che un’idea vaga imparando a conoscere le superficie che vennero denudate, e la quantità dei sedimenti depositati. Si è cercato di stabilire il minimum del tempo trascorso dopo l’apparir della vita sul nostro globo, e la tabella che segue ci fa conoscere uno di cotali tentativi.


EPOCHE Potenza massima in metri Durata minima in anni
Epoca quaternaria 4.380 245.000
» terziaria 8.760 490.000
» secondaria 17.520 980.000
» paleozoica 74. 460 8.330.000
105.120 10.045.000

Per cui si ha uno spessore complessivo degli strati delle epoche geologiche di metri 105,120; ed una durata minima complessiva di esse di anni 10,045,000. Cotesto calcolo però è assolutamente ipotetico, imperocchè moltissime circostanze possono aver influito ad accelerare o a rallentare la formazione dei singoli strati. La durata sopra calcolata è la minima che si possa ammettere; alcuni geologi la ritengono ben maggiore, p. e., di 60 milioni di anni, ed altri perfino di 200 milioni di anni. Quello che possiamo ricavare da questi precoci tentativi si è la convinzione, che dalla apparsa del primo organismo sul nostro globo fino ad oggi è trascorso un tempo estremamente lungo, che noi forse un giorno sapremo esprimere in cifre, ma che la nostra immaginazione non potrà abbracciare.

La questione dell’uomo fossile è questa: È l’uomo coetaneo solamente della fauna attuale, o fu egli coetaneo anche dell’elefante antico e primigenio, della jena e dell’orso delle caverne e perfino dell’elefante meridionale? Se l’uomo è vissuto in tempi remotissimi, egli avrà lasciate le traccie della sua esistenza negli archivi indistruttibili della terra.

Le età preistoriche sono fondate sul materiale, di cui l’uomo foggiava i suoi arnesi. Dapprima egli non conosceva che la pietra, che non sapeva nemmeno dirozzare; solo più tardi imparò a pulirla ed a levigarla. Poi costrusse gli utensili di bronzo, e finalmente quelli di ferro; per cui si distinsero le seguenti età:

1. Età della pietra grezza, o archeolitica,
2.  » » » pulita, o neolitica,
3.  » del bronzo,
4.  » del ferro, che è la presente.

Al disopra di tutte queste età qualche autore vorrebbe porre l’età della clava, partendo dalla idea, che la primissima arma non poteva essere che il bastone nodoso o la clava.

La classificazione sopra esposta è stata modificata in seguito ai progressi fatti dalla paletnologia, essendo sorto il bisogno di distinguere nell’età della pietra tre periodi, anzi che due, e cioè l’eolitico che risale ai tempi terziarii e comprende l’epoca tenaisiana; il paleolitico ed il neolitico dei tempi quaternarii. Alla loro volta i periodi paleolitico e neolitico sono suddivisi in epoche, come risulta dal quadro che segue.


Età della pietra
Tempi Epoche Periodi
Attuali Rohenhausiana Neolitico
Geologici quaternarii Maddaleniana Paleolitico
Solutreana
Mousteriana
Chelleana
Terziarii Tenaisiana Eolitico


I nomi delle epoche sono desunti da quelle località, dove le epoche stesso sono rappresentate nella maggiore loro purezza.

Nel fare questa distinzione di età preistoriche dobbiamo guardarci da un doppio errore. Sarebbe errore cioè il credere, che queste età siano esattamente separate l’una dall’altra, chè anzi l’uomo quando conobbe il rame ed il bronzo, non si spogliò d’un tratto degli arnesi di pietra, i quali soltanto a grado a grado si fecero più rari; nè la scoperta del ferro condusse di subito al totale abbandono delle armi e degli utensili di bronzo. Sarebbe errore del pari il ritenere, che tutta la umanità sia progredita di pari passo ed abbia attraversato tutte quelle età. Mentre una razza od anche tribù era in piena età del bronzo, una altra poteva trovarsi in quella della pietra; ed anche oggi, mentre le popolazioni civili conoscono il ferro, le barbare e selvaggie trovansi nell’età della pietra. Di più, alcuni popoli sembrano aver saltato qualche età, così che, trovandosi, ad esempio, in quella della pietra, venuti a contatto con altri che già conoscevano il ferro, passarono direttamente a quest’ultima età.

Età eolitica. — L’epoca terziaria, di cui sopra fu fatto cenno, si divide in tre periodi che sono l’eocenico, il miocenico ed il piocenico, dei quali il primo è il più antico, l’ultimo il più recente. Le più antiche traccie dell’uomo risalgono al periodo miocenico. In quell’epoca remotissima l’uomo abitava le caverne, non conosceva i metalli, e le sue armi erano fatte di silice. Di questo periodo non conosciamo che poche traccie della incipiente industria umana, e sono selci assai grossolanamente lavorate. Questi arnesi, paragonati ai quaternarii, appariscono simili nelle forme generali, ma di questi assai più imperfetti. Il qual fatto è un’altra prova della legge di continuo progresso, che governa tanto la famiglia umana che l’intera natura organica.

Taluno si è domandato, se l’uomo allora conoscesse già il fuoco. Siccome sopra un certo numero di selci di quel periodo si trovarono traccie manifeste della di lui azione, così la risposta fu affermativa. Come l’uomo se l’abbia procurato, non è difficile il dire, poichè si sa che il fuoco può essere destato in molti modi, dal fulmine, dalle eruzioni vulcaniche, da casuale confricamento di legni, dalla fermentazione, ecc.

Secondo il De Mortillet, le traccie più manifeste dell’uomo miocenico si rinvennero a Thenay, presso Pontlevoy nel dipartimento Loir-et-Cher, dove l’abate Bourgeois trovò in un calcare miocenico molto antico (oligocenico) delle selci tagliate e bruciate. Altre selci, pur lavorate, vennero scoperte nel miocene superiore (aquitaniano) di Puy Courny presso Aurillac.

Il Desnoyer credette di avere trovato traccie dell’uomo che visse nel periodo pliocenico. Le sabbie di Saint-Prest presso Chartres contengono gli avanzi dell’elefante meridionale, del rinoceronte leptorino e dell’ippopotamo maggiore, e sono perciò da tutti i geologi riferite al terreno terziario pliocenico. Nell’aprile del 1863 furono estratte dalle medesime delle ossa fossili portanti delle incisioni irregolari, di varia profondità e di varia lunghezza, le quali incisioni furono considerate come opera dell’uomo; ma un più attento esame ha condotto alla conclusione ch’esse sono dovute alla pressione ed allo sfregamento contro i grani silicei contenuti in quelle sabbie.

L’uomo terziario ha lasciato traccie di sè anche in altre parti dell’Europa, come nel Portogallo, e precisamente in alcuni terreni della valle del Tago, per cui si può asserire che aveva già guadagnato un’ampia distribuzione geografica. Durante questi periodi terziarii l’Europa aveva un clima mite, subtropicale, e la terra era fertilissima. Se la soddisfazione dei bisogni materiali può dirsi felicità, l’uomo era allora di certo felice; e forse i miti che parlano di un eden e di un paradiso terrestre accennano all’esistenza dell’uomo in quei tempi remoti. Platone, parlando dell’età dell’oro sotto Saturno, dice che gli uomini dormivano nudi al discoperto, perchè quella temperie non era loro nociva, ed avevano letti molli, pullulando abbondantissima erba dalla terra.

È stata fatta la domanda, se l’uomo terziario abbia avuto tali caratteri da poterlo classificare nella medesima specie dell’uomo odierno. Il De Mortillet ha dato recentemente a questo quesito risposta negativa. Tale modo di vedere può essere sorretto da argomenti paleontologici ed antropologici. È noto infatti che nessuna specie di mammifero oggi vivente è tanto antica da risalire all’epoca terziaria, e non v’ha nessuna ragione per ritenere che l’uomo faccia eccezione alla regola; d’altra parte, se si esaminano i pochi avanzi umani venuti a noi da età remote, vi si trovano degli incontestabili caratteri di inferiorità, i quali accennano ad organismi nel loro insieme diversi dalle attuali forme più elevate della specie umana e piuttosto affini alle forme inferiori della medesima. Il predetto autore ha quindi istituito per l’uomo terziario il genere Pithecanthropus (uomo scimia), al quale riferisce parecchie specie di quei tempi antichi.

Età archeolitica. — L’uso della pietra si protrasse anche durante una parte dell’epoca quaternaria; ma in quest’epoca sopravvenne un fenomeno, di cui giova tener conto. Il clima europeo, che durante i tempi terziarii era mite, subì un abbassamento straordinario di temperatura, così che i nostri paesi furono in gran parte coperti di ghiaccio, e si ebbe quel periodo che i geologi chiamano glaciale e che fu di lunga durata. La temperatura bassa di questo periodo costrinse l’uomo a migrare da nord a sud, e fu allora che l’Europa meridionale venne invasa da genti somiglianti pei loro caratteri fisici ai Samojedi, agli Scandinavi e ad altri attuali abitanti dei paesi freddi, ed alcuni animali a ritirarsi verso il sud. La renna, ad esempio, venne allora nei nostri climi e vi restò finchè il clima mutato la costrinse a migrare verso il polo, di guisa che vi fu un’epoca, detta della renna, nella quale questo animale era sparso sopra la maggior parte dell’Europa.

Le traccie che sono rimaste delle industrie di quegli antichissimi popoli, consistono in punte di freccia e di lancie fatte di pietra, coltelli, raschiatoi, ascie, martelli e scuri egualmente di pietra; martelli, coltelli, aghi e pugnali fatti con pezzi di corna di cervo o con pezzi di ossa di buoi, di pecore e di altri quadrupedi. Quegli uomini erano principalmente cacciatori, come molti popoli tuttora selvaggi; e con freccie, lance, pugnali, ascie e scuri facevano la guerra ai mammiferi, che allora abbondavano, ne mangiavano le carni, ne spaccavano le ossa per estrarne il midollo ed adoperarlo a varii usi, ed impiegavano le pelli per farsi dei vestiti. Le caverne erano la loro abitazione.

Età neolitica. — A questa età, della pietra polita, e più precisamente al principio di essa, appartengono i cumuli di conchiglie o Kjökkenmoeddings, frequenti specialmente nella Danimarca. Essi hanno sovente uno spessore di uno o due od anche tre metri, sopra una lunghezza in alcuni casi di 300 metri, e una larghezza di 30 a 60 metri. Sono avanzi di cucina di villaggi interi, dove, insieme ai gusci di conchiglie, alimento principale di quelle genti, si trovano ossa di mammiferi (cervo, capriolo, cignale, ecc.), di uccelli, reste di pesci, armi ed arnesi di pietra. Le conchiglie che vi si rinvengono sono, in ordine di frequenza, l’ostrica (Ostrea edulis), il cardio (Cardium edule), il mitilo (Mytilus edulis) e la littorina (Littorina littorea). In questi monticelli non si trovarono cereali di sorta, per cui si ritiene che quegli uomini non conoscessero l’agricoltura e vivessero principalmente del prodotto della pesca. L’unico animale allora domestico era il cane, il quale però serviva anche di nutrimento come presso molte tribù selvaggie dei nostri tempi. Gli stromenti di pietra che si rinvengono in questi depositi sono molto grossolani, e sono asce, spuntoni, punte di lancia e simili.

Avanzi di quest’età si rinvennero in molte parti d’Italia, per esempio, nel Piemonte, in Liguria, nell’Emilia, nell’Italia meridionale, in Sicilia e Sardegna.

Fig. 18. - Fig. 19.

Esempi di armi dell’epoca della pietra ci offrono le fig. 18, 19 e 20. Le figure 18 e 19 rappresentano due punte di freccia in silice, la figura 20 un’accetta, pure di pietra, inserta in un manico di corno di cervo.

Fig. 20. — Accetta entro manico di corno di cervo.

Età del bronzo. — Il rame fu il primo metallo, di cui l’uomo trasse profitto, probabilmente perchè i minerali di rame abbondano in molti paesi e perchè si fondono con facilità. Tuttavia l’età del rame puro non sembra essere stata di lunga durata; certo è che pochi sono i paesi dove fu riscontrata, e poche le armi che di quest’età si rinvennero. Un istrumento di rame fu raccolto nel Belgio, una sega dello stesso metallo puro nelle rovine della città preistorica di Santorino, parecchi strumenti si trovarono nell’Irlanda e nell’America settentrionale.

All’età del bronzo appartiene il maggior numero delle mariere o terramare e palafitte che si scoprirono in varie parti d’Italia e principalmente nell’Emilia. Le mariere sono avanzi di abitazioni di popoli antichi, i quali vivevano in mezzo alle proprie immondezze. Quest’asserzione ha provocato molte obbiezioni, ma non ci vuole molto per capire che ciò sia possibile; basta pensare a certi popoli selvaggi odierni dell’America settentrionale, oppure ad un non remoto passato delle nostre città, ed anche a qualche vicolo di alcuni dei nostri centri di popolazione.

Nelle terramare di quest’età, noi troviamo frammenti di pentole sotto forma di cocci; armi ed utensili diversi di pietra, di ossa e di corna di cervo; armi ed utensili di bronzo. Il materiale, di cui erano fatte quelle pentole, è argilla con granetti calcarei e silicei, cotta semplicemente al fuoco libero e non nei forni. Alcune pentole hanno uno strato esterno lucente e di color diverso da quello che offre la pasta interna; noi vediamo in questo caso la pentola coperta come di una vernice. La lucentezza che si osserva in tali stoviglie è dovuta all’ingubbiatura. Siccome lo strato esterno è talvolta nero, è probabile che i fabbricatori mescolassero insieme colla pasta minutamente trita, che dovea fornire lo strato esterno del vaso, del carbone ridotto in polvere. I manichi delle pentole delle nostre mariere avevano sovente una forma affatto caratteristica (vedi figura 21).

Fig. 21. — Manico di pentola delle terramare modenesi.

Oltre gli avanzi d’arte si trovano nelle mariere gli avanzi animali e vegetali. Lo studio degli avanzi animali ci ha insegnato che a quell’epoca eranvi già addomesticati i seguenti: il cane, il cavallo, l’asino, il bue, la capra, la pecora ed il majale; anzi, alcune di queste specie erano già rappresentato da due o tre razze. Le ossa lunghe di questi animali trovansi spaccate per ricavarne il midollo. Quei popoli mangiavano tra i mammali domestici, non solo i ruminanti ed il majale, ma anche il cane, il cavallo e l’asino.

La ripugnanza che noi sentiamo per le carni canine non è divisa da tutti i popoli, e per dare alcuni esempi bene accertati, la carne canina viene mangiata dai Tungusi, dai Chinesi, dai Groenlandesi, dagli Eschimesi e dagli Indiani dell’America settentrionale. Gli abitanti della costa d’Oro nell’Africa ingrassano il cane, lo mettono in vendita e preferiscono la sua carne a quella di ogni altro animale. La stessa cosa si osserva nell’Angola (Guinea meridionale), dove un cane talvolta viene pagato con molti schiavi. Nella nuova Zelanda la carne del cane è più stimata che quella del porco, e nella China trovasi la medesima nelle botteghe dei macellai. Non è dunque un fatto strano che i popoli delle mariere si nutrissero in parte di carne canina.

In stretto rapporto colle terremare stanno le palafitte. I nostri antenati, per difendere sè stessi e la propria sostanza, fabbricavano entro le acque, delle palafitte, eseguendo in questo modo quanto su più larga scala ed in tempi a noi più vicini fecero i primi abitanti di Venezia. È probabile che le palafitte servissero più a difendere l’uomo contro l’uomo, che non contro i carnivori che in massima parte sono ottimi nuotatori. Alcune palafitte furono scoperte entro le terremare, altre nei laghi tanto della Svizzera che dell’Italia.

Fig. 22. — Scure di bronzo.

Un esempio di arma di bronzo ci è offerto dalla fig. 22, la quale rappresenta una scure di questo metallo.

Età del ferro. — L’età del bronzo fu seguita da quella del ferro, nella quale vediamo apparire armi ed utensili di questo metallo. Il ferro, come il bronzo, venne per la prima volta a noi dall’oriente; ma è difficile di stabilire precisamente il tempo in cui ciò successe. Alcune terremare, per esempio del Parmigiano, appartengono a questa età, e vi appartiene anche la necropoli umbra di Villanova presso Bologna, la quale può dirsi la pagina più ricca, più varia, più completa di quello che fosse nell’Italia superiore la civiltà della prima epoca del ferro.

I cenni sopra esposti ci fanno vedere che l’uomo visse dapprima isolato o ristretto alla famiglia nelle caverne, non conoscendo altre armi ed utensili all’infuori del bastone e di quelli foggiati di pietra e di ossa; in tale stato egli esercitava la caccia o la pesca ed ebbe il cane come primo animale domestico. Più tardi visse in piccole società, costruì delle capanne entro l’acqua oppure in terraferma, circondandole di acqua nel secondo caso; appreso l’uso del rame, poi del bronzo e finalmente del ferro; addomesticò parecchi animali, ed esercitò per lungo tempo la pastorizia e più tardi l’agricoltura. Per compiere questo cammino è occorso un tempo lunghissimo, e questo tempo ci fu, perchè l’uomo abita la terra da tempi antichi.

Si è cercato di esprimere l’antichità dell’uomo con una cifra; l’ultimo tentativo che conosco è quello del De Mortillet, il quale fa il seguente calcolo.

Se si dividono i tempi quaternarii in 100 unità, ne spettano:


al Chelleano 35
al Mousteriano 45
al Solutreano 5
al Maddaleniano 15
Totale 100.


Ritenendo che il Mousteriano o l’epoca glaciale abbia durato almeno 100,000 anni, si hanno queste cifre proporzionali:


pel Chelleano 78,000 anni
pel Mousteriano 100,000 »
pel Solutreano 11,000 »
pel Maddaleniano 33,000 »
Totale 222,000 anni


L’uomo essendo apparso al principio dei tempi quaternarii, ha 222,000 anni di esistenza, cui si devono aggiungere 6000 anni dei tempi storici, ai quali si fanno risalire i monumenti egiziani, ed una diecina di migliaia di anni che assai probabilmente sono trascorsi fra i tempi geologici e quelli della civiltà egiziana. Noi arriviamo così ad attribuire all’uomo propriamente detto, prescindendo dall’antropopiteco terziario, una età non inferiore a 240,000 anni. È questo un calcolo tutt’affatto approssimativo, il quale ha la sola pretesa di esprimere, con cifre il minimum dell’antichità dell’uomo.