Arrigo il Savio/V

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Snella di forme ed aggraziata nella sua giusta statura, bianca di neve la carnagione, il viso aperto, risolutamente modellato, ma di contorni finamente accarezzati, Gabriella Manfredi prometteva a diciott’anni una rigogliosa maturità di bellezza, ed era già, fin d’allora, un miracolo di leggiadria, di freschezza giovanile. La fronte, nitida e breve, era nascosta a mezzo da due ciocche increspate dei suoi capegli neri, che, raccogliendosi dietro agli orecchi piccini, scendevano in abbondante cascata di riccioli lungo il collo giunonio. Gli occhi grandi, profondi, color di zaffiro cupo, splendevano di luccicori cristallini di sotto agli archi prominenti delle sopracciglia nerissime. Ampia era la guancia e [p. 79 modifica]piena; il naso diritto, sporgente alla radice, risentito nel classico disegno delle nari; le labbra belle e carnose; il superiore alquanto più tumido, che, rialzandosi col sorriso, rosseggiava vivace sulla bianchezza luminosa dei denti; il mento, ovale e rilevato, completava degnamente quel tipo maraviglioso di bellezza greca, con tocchi più vigorosi di sentimento romano. Non fiori tra i capegli, o nel timido scollo del seno: era lei, lo sapete, il fiore appena sbocciato. Vestita di bianco e di nero, quasi per naturale richiamo alle due note caratteristiche di colore della sua bellissima figura, portava al collo, per unico ornamento, un sottil vezzo di perle. A vederla, quando volgeva da un lato la magnifica testa, nobilmente rilevata in arco al sommo della cervice, ricordava l’atteggiamento statuario di Diana, che par muovere il capo ai rumori della selva, mentre leva la mano all’omero, dove stanno raccolte le frecce infallibili. E forse accresceva l’illusione quel suo aspetto sereno, ma non senza indizi di osservazione precoce, di testolina forte, come [p. 80 modifica]sono generalmente le ragazze rimaste per tempo senza madre e costrette a studiar molto da sè, timide ancora nel soave candore della beata adolescenza, ma già salde di tempera ed agguerrite oltre l’età.

Tale era, nello splendore dei suoi diciott’anni, Gabriella Manfredi. L’accompagnava il senatore suo padre, e veniva con essi il conte di Castelbianco, ritornato allora, e miracolosamente a tempo da quel suo “eterno circolo.„

Giovanna accolse la fanciulla tra le sue braccia, e la baciò sulla fronte. Quel bacio all’innocenza la rianimò; le parve per un istante di non aver più nulla, e le fiorì sulle labbra il più lieto sorriso; poi stese la mano al senatore, in atto di saluto e di ringraziamento ad un tempo.

— Contessa, si arriva primi, secondo l’uso; — disse Andrea Manfredi, ridendo. — Ma voi lo volete, Gabriella lo vuole, ed io, non avendo da volere, obbedisco.

— Grazie, senatore. L’amo tanto, il vostro angelo! — rispose la contessa. — Come sei [p. 81 modifica]carina! sembri una bella ninfa antica! — proseguì, rivolgendosi alla fanciulla.

— E tu? — disse Gabriella. — Non c’è che l’antico paragone, per te. Sei sempre bella come un sole.

— Al tramonto, bambina! Pochi anni di più, e potrei essere tua madre.

— Se Pompeo lo permette, contessa, — entrò a dire il Manfredi, — vi costituisco tale, senz’altro, e corro via.

— Ve ne andate?

— Per una mezz’ora; il tempo di giungere all’Albergo di Roma, per stringer la mano, o lasciare un biglietto di visita, ad un amico mio di giovinezza, che oggi è stato da me e non mi ha trovato in casa.

— So chi è; — disse il conte. — Cesare Gonzaga.

— Per l’appunto. E chi t’ha fatto indovino a quel modo?

— Non c’è niente di maraviglioso. Per intanto puoi rimanere, perchè a momenti egli sarà qui. Ci siamo conosciuti stamane. Che simpatico uomo! È lo zio del Valenti. [p. 82 modifica]

— Del Valenti? — esclamò Andrea Manfredi. — Del giovane sodo?

— Sì, proprio lui; non lo sapevi?

— No, davvero. Cesare Gonzaga ha lasciato l’Italia trentatrè anni fa, e col Valenti, sai, ci vediamo poco.

— Sei come mia moglie, tu! — osservò il Castelbianco, dando una sbirciata alla contessa, che stava fortunatamente ragionando in disparte con Gabriella. — Quel Valenti le è uggioso, direi quasi antipatico. Ma perchè, dico io, perchè? Non è forse un savio ragazzo?

— Troppo savio; — rispose Andrea, — e la contessa, che ha rettitudine di giudizio, lo avrà subito indovinato, come l’ho indovinato io. Quelli lì, mio caro Pompeo, non sono giovani, e tu spendi male con essi il tuo bel titolo di ragazzo. Hanno l’anima vuota di nobili idee, il cuore risecchito: chiamali banchi ambulanti, orologi a pendolo, incapaci di un errore, ma anche di un largo concepimento e di uno scatto generoso.

— Sì, hai ragione; — disse il conte. — Ma [p. 83 modifica]noi, con le nostre follìe, col nostro cuore esaltato e con le nostre mani bucate, che guadagni abbiam fatti? Parlo per me, si capisce. —

Andrea Manfredi sorrise, e, ficcando il suo braccio sotto quello del conte Pompeo, soggiunse arguto:

— Tu, con tua buona pace, sei un vecchio impenitente.

— Vecchio? Oh, questa poi!... — rispose il conte. — È la prima volta che me lo dicono; e per fortuna non è un giudizio di donne.

— Matto!... — replicò il Manfredi. — Sai che ho sessantacinque anni, io? E che ai nostri tempi eravamo quasi coetanei?

— Quasi? — borbottò il conte. — Mettici quindici anni almeno, nel tuo quasi.

— Via, contentati di cinque, e diciamo sessanta.

— T’inganni, oh t’inganni! — rispose il conte Pompeo, che non voleva adattarcisi... — Vedi, Andrea; la mattina, quando non è ancora venuto il parrucchiere, ho cinquant’anni: dopo che è venuto, ne ho quaranta: sul Corso, [p. 84 modifica]a Villa Borghese e prima del pranzo, ne ho trenta....

— Ed ora ne hai venti, — conchiuse il senatore. — Se la va di questo passo, mi diventi bambino tra le braccia, e dovrò portarti io a dormire, in mancanza di balia. —

Mentre i due vecchi ridevano, avviandosi verso il salotto attiguo, le due donne chiacchieravano sedute sopra un divano.

— Che vuol dir ciò, che ti amo tanto, Giovanna? — diceva la fanciulla. — Vorrei star sempre con te. Sai che è una cosa triste, essere senza madre? Anche tu, da qualche tempo sei triste. Oh, non lo negare, non sei più quella di prima. C’è un dispiacere di mezzo. Vuoi confidarmelo?

— No, non ho nulla; — rispose Giovanna. — Contrarietà, forse, piccoli malumori in famiglia, ed anche passeggeri; non mette conto parlarne.

Ragioniamo invece di te, mia bella fanciulla. Come va il cuore? Chi ami?

— Nessuno.

— Nessuno, è troppo poco. Neanche un principio? Tra tanti giovani che vedi.... [p. 85 modifica]

— Ah, troppi ne vedo, — interruppe Gabriella, — e tutti si rassomigliano. Gravi, impettiti, inamidati, prepotenti, vengono in società per dettar sentenze, come altrettanti consiglieri di Cassazione. Sorridono di compassione ad ogni discorso un po’ caldo, e sembrano accusarti di vanità, di leggerezza, di poesia, tutti sinonimi, per loro! Già, essi non parlano che di cavalli, come se fossero nati e allevati in scuderia, o di affari bancarii, o di politica. La politica non mi dispiace; anche il babbo ne parla, qualche volta, ma per paragonare i bei tempi, i tempi dell’apostolato, della pugna, del sacrifizio, insomma i tempi eroici... con questi! Essi ne parlano per fare i loro calcoli sulla stabilità o sulla caduta del Ministero, senza badare se questo si regge senza gloria, o cade con dignità. Non vedono che il fatto, essi, non ragionano che sulle conseguenze bancarie di quello, e sulle oscillazioni che potrà cagionare alla Borsa. Capisco che hanno da guadagnare e da perdere. Anche il babbo è banchiere; ma, tranne un’ora, ed anche meno, di conferenza col suo [p. 86 modifica]segretario, non c’è caso che tu lo senta ragionare di queste miserie. Come è giovane, mio padre! E loro, invece, è una pietà doverli sentire. Se ti parlano di musica, lo ricordi? non fanno che sentenziare brevemente, asciuttamente, tra la tedesca e l’italiana, come se ci fossero due musiche, separate e distinte fin dalla nascita. Se ti parlano di letteratura, non li senti far altro che condannare ogni idealità, bollandola con una parola di disprezzo: retorica! Un nobile entusiasmo non è, infatti, che retorica; un impeto di passione è falsità, poesia introdotta a forza nel linguaggio comune, offesa alla serenità di quella lastra fotografica che è l’arte. E se tu ardisci fare una piccola osservazione, ti lasciano dire, perchè sei donna, ma ti guardano in viso con aria gentilmente canzonatoria, come se fossi incapace d’intenderle, quelle nuove ragioni dell’arte. E fumano, poi, come vulcani, e mangiano molto e ballano poco.

A teatro, i famosi giudici delle due scuole musicali, quando c’è l’opera, sonnecchiano nelle loro poltrone, o vanno a chiacchierare [p. 87 modifica]nei corridoi, fino all’ora del ballo, quando si tratta di ammirare le capriole. Questo è l’unico momento di gioventù e d’entusiasmo per essi.

Infine, Giovanna mia, sono molto serii, e sotto quella vernice di serietà s’indovina il materialismo. Mi fermo, per non entrare in filosofia; ti dirò solo, per conchiudere, che appena uscita dal conservatorio, con tante idee per la testa, li credevo migliori. Non saranno cattivi a dirittura, gran che! Sono mediocri, e mi basta.

— Il ritratto non è abbellito, davvero; — osservò la contessa, sorridendo, — ma nel complesso è abbastanza rassomigliante. Il conte Guidi, per altro, non è così.

— Eh, non saprei; — disse Gabriella. — Lo studio.

— Tu, bambina?

— Io, sì; ti pare orgogliosa, la risposta? ma che cosa possiamo far noi, obbligate a parlar poco e ad ascoltar molto, se non studiare un pochino chi ci parla? Il conte Guidi mi pare uno dei migliori, qualche volta, e qualche altra non me lo pare. Che ne so io? È un cavaliere tenebroso. [p. 88 modifica]

— Ti amerà, forse, e non ardirà parlare troppo chiaramente. Sai che non è ricco?

— Oh, questo vorrebbe dir poco; non amo i ricchi.

— Perchè lo sei tu, birichina?

— No, sai, non ci penso neanche; e se ci penso... Vedi, Giovanna, — e così dicendo la fanciulla si strinse al fianco della contessa, come per parlarle all’orecchio, — ci sono dei momenti che, se non fosse per il babbo, vorrei essere... la mia cameriera. Lei almeno è felice; ama tanto sua madre, l’aiuta, e non ha altri pensieri. Se un uomo le dirà di volerle bene, non glielo dirà mica per la sua dote. La poverina non ha che la sua bellezza e il suo buon cuore; ma ci avrà la consolazione di non essere amata per altro.

— Cara! — esclamò la contessa, baciando sui capegli la sua giovane amica. — Ti passeranno, queste idee bizzarre, ti passeranno! Poichè tu studi la vita, la vedrai tutta meno bella, e ti piacerà di essere nata ricca, in una culla d’oro, come ha detto l’Aleardi. È già una bella difesa, esser ricca! Ma ecco, [p. 89 modifica]bambina mia, incominciano ad arrivare i nostri amici; ripigliamo la dignità del nostro ufficio.

— Io ti guardo ed imparo; — disse Gabriella. — Tu ricevi come un’imperatrice. —