Biografie dei consiglieri comunali di Roma/Luigi Alibrandi

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Luigi Alibrandi

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Prefazione Giovanni Angelini

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ALIBRANDI CAV. LUIGI


Consigliere Municipale




librandi Luigi nacque in Roma nel 1828, e romani furono i suoi genitori. Egli è dunque romano puro sangue: non presenta antica genealogia, ma vanta l’illustre Luigi Angeloni fratello dell’ava paterna del quale nel libro dei Martiri italiani scrisse la vita Atto Vannucci, e Farini nella sua Storia d’Italia, al libro XVII del II volume.

Una pagina interessantissima occupò l'Angeloni nella Storia della rivoluzione francese che si svolse in Italia, la quale non sarà inutile rammentare a questo luogo dacchè ce ne offre il destro un nome che ebbe a figurare quale presidente del Tribunato nella Repubblica romana del 1798.

Le lunghe arti dei rivoluzionari francesi erano riusciti a sommuovere Roma nel dì 29 dicembre 1797, e compiutosi ogni atto di gallica fellonia volevasi fondare la nuova religione naturale sotto il titolo di teofilantropia. Il Pontefice Pio VI, — Braschi, — dopo avere pagato al Direttorio francese quanto eragli stato imposto nel trattato di Tolentino, veniva stretto a corrispondere 3700 scudi per statuette di bronzo che Giuseppina moglie del Bonaparte aveva desiderate. Il caro dei viveri, l’esplosione della polveriera nel castello di Sant’Angelo avvenuta a’ dì 28 giugno con morti, feriti, guasti e rovine, riportandone gravi danni perfino la cappella Sistina, tutto parve favorire il quinqueviro Larevelleire per innalzare lo stendardo della rivolta. Il Governo Pontificio non aveva negligentata cura ad impedire e reprimere i primi moti, quando i democratici ornati il petto ed i cappelli con nappe tricolori, e con canti francesi, per iscampare le armi del Papa corsero a rifugio nel palazzo di Francia ove stava quale ambasciadore Giuseppe Bonaparte fratello maggiore di Napoleone. Il generale Duphot adoperassi per frenare l’ardore che i soldati della Chiesa provarono nel dare la caccia ai ribelli, ma essi stretto quasi in ossidione il palazzo, intimarono senza più agli italiani ed ai francesi di uscire. Scorse il primo sangue [p. 14 modifica]ed il generale Duphot rimase ucciso: dichiarossi la violazione iuris gentium, domandossi vendetta siccome allora che il Basville veniva scannato nel 1793 per furia di popolo che non voleva si facesse guerra al Papa per favorire la Francia: il gridìo fu sommo, ed il Direttorio di Parigi che da gran tempo anelava e preparava il pretesto, intimò guerra, e guerra si combattè. Ma nel gennaio del 1798 lo Stato Pontificio veniva tutto occupato e messo a rubba, dove non si ardeva si taglieggiava, sino a che nel dì 10 febbraio Berthier coi Franco-Cisalpini entrava in Roma proclamando solenne la redenzione che la Francia generosa veniva ad apportare alla propria sorella del Tebro. Qua e là s’innalzarono gli alberi della libertà, intorno a cui mattirono molti che pareano severi cittadini, e femminacce spudorate ballarono la ridda d’inferno, mentre al Foro Romano dinnanzi ad un notaio proclamavasi la Repubblica Romana. Il Papa veniva intanto tolto dalla sua residenza poiché aveva fermamente data ripulsa al Cervoni di patteggiare la rinunzia della sua temporale signoria, per cui stretto sotto la più rigorosa sorveglianza passava in Toscana, e veniva tratto prigione in Francia. E Roma i francesi liberatori mettevano al sacco, ed i palazzi del Vaticano, del Quirinale, di Castel Gandolfo venivano di tutto depredati, e quando le suppellettili ebbero fine, allora si diè mano a schiodare porte, a sfasciare armadi, seco asportando checché avessero trovato, ed i beni di Propaganda, dell’Accademia, le Paludi Pontine, vennero gittate in pasto al Fisco, e tanta fu la desolazione che i Romani subirono, da rimanersi come smemorati dinnanzi ai più feroci depredamenti ed arsioni. - Nel dì 20 marzo 1798 bandivasi solennissima festa per far tripudio nel nome della Repubblica Romana, a cui come gemme nella corona si univano l’Anconitana, il Tevere con Roma, Cimino od Anagni, Circeo o Viterbo, Clitunno o Spoleto, Metauro o Macerata, Musone o Sinigaglia, Trasimeno o Perugia, Tronto o Fermo. - E nella festa aprivasi lo Senato e proclamavasi lo Statuto, e facevasi l’appello, quindi coniavasi una medaglia commemorativa, con le scritte Berthier restitutor urbis - Gallia salus generis humani. - E Berthier era il restitutore della antica invasione de’ barbari, che della salute portata dalla Gallia provonne Roma per lungo tempo gli sciaguratissimi effetti. - Brutta storia, e coloro che troppo s’illusero nella redenzione per tale mezzo venuta dalla Francia, tardi piansero sui mali della patria che videro da ogni orrore e niquizia contaminata. - L’Angeloni, quando gli alleati vennero a por fine a stato miserevolissimo tanto por il male sfiduciato migrò a Parigi. E gli alleati compirono l’opera di strage dai franchi intrapresa, perchè le case dei più ardenti repubblicani furono messe a sacco ed a fuoco, patendone l’Angeloni stesso un danno di oltre 45 mila scudi. Rattristato ma non iscorato per la niquizia dei Galli avventurieri che avevano causato tanto eccidio alla propria terra, rivolse in Parigi ogni cura perchè a Roma parte almeno del rubato in oggetti d’arte si restituisse; e se il cardinale Consalvi regalollo di un ricco orologio accompagnandolo con il permesso di rimpatriare [p. 15 modifica]purchè smettesse l’occuparsi di politica, l’uno e l’altro rifiutò esso per mandare anche da Parigi il grido disperato di una patria che meritava migliori destini. E questo grido metteva in carta, e con le stampe diffondeva, onde guadagnossi nel 1814 dal re di Prussia la seguente lettera:

«Je vous remercie de m’avoir fait connaitre votre brochure sur l’état politique de l’Italie, dont la destinèe interesse toutes le puissances européennes. Je vous previens, que j’ai envoyé cet ouvrage à mon chancellier, le baron d’Handerberg.

» Au Quartier Général de Paris le 23 Mai 1814

» Frédéric Guillaume.


Ma dalla Francia ch’esso con sommo impegno aveva servita stimandola del bene d’Italia interessantissima, ebbe dolori che lo costrinsero ad esulare: a Londra credette trovar pace all’animo per tante vicende trangosciato ed al corpo per molto lavoro affranto, e là morì nel 1837, lasciando come legato alla italiana gioventù fra altri pregiati scritti il suo libro Esortazioni patrie.

Dell’Angeloni scrivemmo per rilevare un punto principale della storia di Roma nel principio del nostro secolo, e perchè da questi, meglio che la scarsa fortuna, che la più in prò della libertà aveva esso sacrificata, ereditò l’Alibrandi l’amore alle liberali istituzioni. - Percorsi ch’ebbe nel Collegio Romano gli studi, addottrinossi in diritto presso la Università, quando le vicende politiche del 1848 e 49 lo trassero in piena politica; e perchè animosissimo e del pacifico vivere disdegnoso fra tanto agitarsi di armi e di armati volle prendere parte nella difesa di Roma, trovandosi sotto gli ordini del generale Garibaldi alla difesa del Casino dei Quattro Venti nel dì memorando del 30 Aprile.

Appresso alla restaurazione del pontificio governo era naturale che il suo nome venisse segnato nel libro nero dei facinorosi e tenuto in osservanza, impedito quindi di rientrare alla Università, e per grazia speciale ammesso a studiare privatamente sotto a maestro assegnatogli dalla Congregazione degli studi. Molte cose raccontano dell’Alibrandi quando fu chiamato negli esami a sostenere la tesi Quomodo demonstratur formam regiminis a Christo Domino Ecclesiae suae datam esse monarchicam; certo è che felicemente raggiunse la riva dell’avvocatura, ma dì per dì diradandosi le file dei patrioti, perchè il governo papale i più temerari arrestava e metteva ai confini, pensò bene l’Alibrandi di darsi con più impegno alla politica che alle leggi. Destro però in ogni fatto suo riuscì sì bene a deludere la politica sorveglianza che senza d’uopo di mettersi a sicuro asilo continuò a trattare per la causa della italiana unificazione, quasichè sopra ed intorno a sè occhio umano non v’invigilasse.

Scoccò l’ora da esso per tanto tempo sospirata nel dì 20 Settembre 1870, e siccome schivo era stato in ogni suo atto di pubblicità, così a quell’epoca non ricercò onori [p. 16 modifica]e posti, pago alla coscienza che dicevagli di avere qualche cosa fatto per il proprio paese. Ma modestia non cela i nomi, e per primo incarico ebbe quello di far parte della Commissione che doveva rivedere i processi politici di tale epoca. E non iscappò la pena della crocefissione, che gli cade sulle spalle quella proprio della Corona d’Italia, quindi fu membro straordinario del Consiglio provinciale sanitario, e giudice supplente al Tribunale d’Appello. Ebbe prove lusinghiere di fiducia dai Consigli Comunale e Provinciale, essendo dal primo stato eletto membro della Giunta di Statistica, e di quella per la verifica delle Opere Pie di Roma, dal secondo membro della Commissione per la vendita dei beni demaniali, alle quali prove di fiducia corrispose l’Alibrandi con eguali prove di zelo e di sicura coscienza, e dal Governo in ciò stimatissimo venne nominato sotto economo dei benefizi vacanti nella Provincia di Roma, uffizio senza lucro e di molta briga per la eccezionalità dello stato di Roma.

E posciachè il ben fare non sempre è qualità in tutti coloro che per ambizione o per ispeciale interesse mirano a sedersi in qualche pubblico scanno, chè facile anzi riesce nei presenti tempi e comune troppo il veder rivoltarsi le casacche con singolare indifferenza, e raramente avere la fede secondo la livrea che uno indossa, così è commendevole chi alle opinioni fa seguire le azioni, nulla essendovi di peggiore del cattolico che vuol salvare petto e borsa ascondendo il crocefisso nel tricolore, o del liberale che in una mano stringe l’arma contro la propria credenza e nell’altra snocciola il rosario per ammenda del suo mentire. - Avviene spesso che coscienze pusillanimi messe in alto rimangano come prese dal capogiro, e rinnegando sà stesse ed il mandato dagli elettori avuto tradendo operino a caso come la tema non come la coscienza li consiglia, oggi alla messa domani alla sinagoga, poi alle conferenze evangeliche, quindi ai banchetti dei materialisti, per ritornare poi all’antico pascolo senza fede e rispetto nè al primo nè all’ultimo; e da ciò nasce che chi compie il dover proprio, quantunque elogio non gli convenisse perchè non dovrebbesi segnare il merito che ne’ fatti specialissimi, pure si hanno onoranza e gloria; prova che gli uomini sono sempre della razza dei conigli, ed amano essere ingannati, perciò solo che così non hanno la pena di pensare e di operare da sè, bastando lasciare che gli altri operino mentre gittano il cappio al collo.

Queste parole non iscriviamo a caso: apostati e finti in religione ed in politica ve n’hanno anche in Campidoglio; beato il popolo che può vivere cieco nella fede insino a che la delusione con due dita di ferro non gli stringa il collo.

L’Alibrandi si vanta liberale e da liberale agisce, meglio così: almeno è un uomo sul quale gli elettori potranno contare con fiducia perchè l’azione non ismentirà la parola.