Campo vaccino

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Giuseppe Gioachino Belli

1830 Indice:Sonetti romaneschi I.djvu corone di sonetti letteratura Campo vaccino Intestazione 8 febbraio 2024 100% Da definire

Assenza nova pe li capelli Tempi vecchi e tempi novi
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1830
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CAMPO VACCINO.1

1.

     Guarda, Ghitano mia: eh? ddi’, te piasce? —
Che ggrannezza de Ddio! che ffrabbicona! —
Nun è più mmejjo de Piazza Navona? —
Antro! E ccome se chiama? — Er Temp’inpasce.2

     5Senti, Ghitano, t’hai da fà ccapasce
Che, ppe’ sta robba, cqui nun ze cojjona. —
Nun fuss’antro la carcia!3 — Bbuggiarona!
E li mattoni? Sai quante fornasce! —

     E cqua chi cciabbitava, eh sor Grigorio? —
10Eh! ttanta gente: e tutti ricchi, sai?
Figùrete che gguitto arifettorio!4

     Che ppalazzone! nun finisce mai! —
Che? Annava a la salita de Marforio,
Prima ch’er Turco nun je dassi guai!

24 agosto 1830.


Note

  1. [Questa denominazione del Foro Romano, derivata dalla barbara e pur troppo non remota usanza di tenere tra quelle auguste rovine il mercato del bestiame, specialmente del vaccino, fu abolita negli atti pubblici al principio del secolo, e oggi va scomparendo anche dall’uso popolare. Il Belli poi, per un errore assai comune e nato forse dall’affinità di Boario con Vaccino, sotto la denominazione di Campo Vaccino o Foro Romano ci comprendeva anche il Foro Boario, come si vedrà nel secondo di questi quattro sonetti, e meglio ancora in altri due: L’Arco ecc., 4 ott. 31, nota 1; L’innustria, 23 dic. 32, nota 4. Il primo titolo del sonetto presente era: Er zor Grigorio, mannataro de Santo Tòto (di San Teodoro), co’ Ghitano er chìrico novo de li Sacconi rosci, che vanno a vvede anticajje pe’ Campo Vaccino.]
  2. Templum Pacis. [Ma bisogna avvertire che in romanesco er tempimpasce (il tempo-in-pace) significa: “il me-la-piglio-comoda.„ Cfr. il sonetto che ha questo titolo, 19 febb. 47. E bisogna altresì avvertire che col nome di Templum Pacis venivano erroneamente designati i colossali avanzi della Basilica di Costantino.]
  3. La calce.
  4. Refettorio.
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2.

     Le tre ccolonne llì viscino ar monte,
Dove te vojjo fà passà tte vojjo,
Furno trescento pe’ ffà arrègge1 un ponte
Dar Culiseo ’nsinenta a Ccampidojjo.2

     A mmanimanca adesso arza la fronte:
Lassù Ttracquinio se perdette er zojjo,
E ppoi Lugrezzia sua p’er gran cordojjo
Ce fesce annà la bbarca de Garonte.

     Vortanno er culo a cquele tre ccolonne,
Mo annàmo all’Arco de la vacca e ’r toro;3
Ma ssi ne vedi dua, nun te confonne.

     In quello ciuco4 se trovò er tesoro:5
L’antro è l’arco de Ggiano Quattrofronne,6
Che un russio7 vò ppagallo8 a ppeso d’oro.9

25 agosto 1830.


Note

  1. Reggere.
  2. [Insino al Campidoglio. — È chiaro che qui si tratta delle tre colonne presso il Palatino, avanzi del tempio di Castore e Polluce, le quali dagli archeologi di allora erano credute parte del tempio di Giove Statore, o più probabilmente della Grecostasi. Ma il nostro popolano le piglia per avanzi del ponte, con cui Caligola congiunse la sua casa sul Palatino all’altra, che aveva fatta sul Campidoglio per essere modestamente contubernale di Giove. E ci mescola anche il Colosseo, che non c’entra per nulla.]
  3. Il piccolo arco detto degli Argentieri; innalzato dal ceto de’ banchieri, detti Argentarii, e dai commercianti di buoi alla famiglia di Settimio Severo.
  4. Piccolo.
  5. È credenza popolare che in un fianco di detto arco fosser trovate molte ricchezze, presso un’antica voce tradizionale che diceva: Tra la vacca e il toro, troverai un gran tesoro. Questi animali debbono alludere a quelli scolpiti nell’arco per ragione de’ sacrifici rappresentativi e della situazione dell’arco stesso nel Foro Boario. Può accrescer fede al racconto un buco, il quale vedesi aperto dal lato sinistro e manifesta un vuoto.
  6. L’Arco di Giano Quadrifronte.
  7. Russo.
  8. [Variante: crompallo.]
  9. [Cfr. la nota 2 del sonetto: Er Moro ecc., 25 ag. 30.]

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3.

     A cquer tempo che Ttito imperatore,
Co’ ppremissione che jje diede Iddio,
Mové la guerra ar popolo ggiudio
Pe’ ggastigallo che ammazzò er Ziggnore;
              5
     Lui ridunò la robba de valore,
Discenno: “C...., quer ch’è dd’oro, è mmio:„
E li scribba che faveno pio pio,1
Té li fece snerbà ddar correttore.2

     E poi scrivette a Rroma a un omo dotto,
10Cusì e ccusì che frabbicassi un arco
Co’ li cudrini der gioco dell’otto.

     Si ce passònno3 li Ggiudii! Sammarco!4
Ma adesso, prima de passacce sotto,
Se farìano ferrà ddar maniscarco.5

10 settembre 1830.

Note

  1. Facevano bisbiglio. [Propriamente, far pio pio si dice, come a Firenze, degli uccelli piccoli quando pigolano, e soprattutto de’ pulcini.]
  2. Così chiamavasi un individuo destinato nel Collegio Romano a frustare gli scuolari.
  3. Se ci passarono.
  4. Per forza. [È una fiaba, come tante altre. Al trionfo che si fece in Roma per la conquista di Gerusalemme, dovettero, si, prender parte settecento tra i più bei giovani prigioni ebrei, mentre il più terribile de’ loro capi, Simone figlio di Giora, veniva con un laccio al collo trascinato nel Foro, e flagellato e ucciso; ma l’arco in onore di Tito, fu eretto dopo la sua morte, sotto Domiziano. — Sammarco! è un’abbreviazione molto comune del proverbio: San Marco fa fà le cerase (ciliege) pe’ fforza. Il qual proverbio, usato anche nelle Marche e nell’Umbria, deriva evidentemente dal potersi dire quasi maturate per forza le poche ciliege che si trovano mangiabili in queste regioni nel giorno della festa di san Marco, cioè il 25 di aprile. Il popolo però lo crede derivato dall’essersi questo santo preso l’incomodo di far maturare per forza in detto giorno un albero di ciliege del giardino papale, per appagare la voglia d’un papa, che le desiderava ardentemente.]
  5. [Dal manescalco. E questa repugnanza degli Ebrei è realmente vera.]
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4.

     Sto cornacopio su le spalle a cquello
Che vviè appresso a cquell’antro che vva avanti,1
C’ha ssei bbracci ppiù lónghi, e ttutti quanti
Tièngheno immezzo un braccio mezzanello;2
              5
     Quello è er gran Cannelabbro de Sdraello,
Che Mmosè ffrabbicóFonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte cco’ ttanti e ttanti
Idoli d’oro che ssu ddu’ lionfanti
Se portò vvia da Eggitto cór fratello.

     Mo nnun c’è ppiù sto Cannelabbro ar monno.
10Per èsse, sc’è; ma nu’ lo gode un cane,
Perché sta ggiù in ner fiume3 a ffonno a ffonno.

     Lo voi sapé, lo vòi, dov’arimane?
Viscino a Pponte-rotto; e ssi lo vònno,
Se tira sù pper un tozzo de pane.4

10 settembre 1830


Note

  1. [Continuando a parlare dell’Arco di Tito, qui ne descrive uno de’ due famosi bassorilievi laterali del fornice, che rappresenta una parte della processione trionfale, cioè i soldati coronati che portano sulle spalle il candelabro d’oro a sette rami, e altre spoglie del Tempio di Gerusalemme.]
  2. [De’ sette rami (bracci), quello di mezzo è il più corto.]
  3. [Detto così assolutamente, s’intende sempre il Tevere.]
  4. Con poco dispendio. Allude al tentativo creduto di facile successo ed eseguito veramente negli anni scorsi per mezzo di una macchina. Molti azionisti rimasero ingannati, e perdettero le loro somministrazioni.