Cara Speranza/Racconto alla vecchia maniera

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Racconto alla vecchia maniera

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Una Vocazione
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RACCONTO

ALLA VECCHIA MANIERA.

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La Carmela aveva conosciuto il suo fidanzato alla Sagra di Galliate. C’era andata con una sorella del parroco, e s’era trovata tutta confusa quando arrivando, aveva veduto nel cortile, una folla nera di preti. Non aveva ancora sedici anni, ed era naturale che fosse molto timida. Aveva detto alla sua compagna:

— Ma non ti pare che si dovrà stare in una gran suggezione, noi due sole fra tanti preti?

La compagna, che era maggiore di lei di parecchi anni, le aveva risposto: [p. 200 modifica]

— Se avessi creduto di non veder altri che preti non sarei partita da Novara, e non t’avrei invitata, poverina.

Poi aveva soggiunto con un luccicchio giulivo negli occhi:

— Verrà Giusto, e verrà mio fratello Gaudenzio.

Giusto era il suo fidanzato, un giovine medico, che aspettava d’essere nominato medico condotto di Oleggio per isposarla. Ed il fratello Gaudenzio era uno studente che faceva il quarto anno di legge all’università di Torino, e che l’Amalia vagheggiava di vedere innamorato e fidanzato della sua amica.

Infatti poco dopo arrivarono Giusto e Gaudenzio, con una frotta d’amici, tutti studenti che erano a Novara in vacanza, fra i quali Mario Pedrazzi, che aveva ventidue anni, e stava per prendere la laurea da ingegnere. [p. 201 modifica]

Era bello, biondo, coi capelli ondulati e rigonfi, cogli occhi d’un grigio chiaro, grandi, un po’ infossati, pieni di languidezza e di mistero.

Quegli occhi meravigliosi s’erano subito fissati negli occhioni neri della Carmela, come per magnetizzarla. E l’avevano magnetizzata.

Prima del pranzo c’era stata la presentazione; a pranzo, seduti accanto, avevano fatto conoscenza; dopo pranzo, passeggiando in giardino dietro gli altri due già fidanzati, Mario aveva detto delle cose molto sentimentali, e la Carmela s’era sentito rimescolare il sangue e sussultare il cuore; ai vespri avevano sempre tenuti gli occhi fissi l’uno nell’altro, lasciando che quelle occhiate lunghe e languide dicessero tutto quanto volevano dire; e la sera, andando alla stazione per ripartire, lungo la strada [p. 202 modifica]buia, Mario, che dava il braccio alla Carmela, le aveva presa la mano che si appoggiava sulla manica della sua giacchetta, e le aveva sussurrato:

— Cara... cara...

La Carmela non aveva risposto, e lui non aveva aggiunto altro. Ma avevano continuato a camminare colle mani unite, col braccio di lei stretto fortemente fra il petto ed il braccio di lui, ed avevano scambiato ogni sorta di confessioni, di proteste, di promesse in quel lungo silenzio d’amore.

Poi, a Novara, quando lei gli aveva stesa la mano alla stazione, prima d’andarsene col suo babbo che stava ad aspettarla, Mario aveva sussurrato:

— Per sempre...?

E lei aveva chinato il capo con un molto sommesso, ma molto chiaro e risoluto. [p. 203 modifica]

Ma da quel momento non c’erano più stati ravvicinamenti simili fra loro.

L’Amalia, risentita che la sua amica avesse scelto per l’appunto un altro invece di suo fratello, s’era messa a trattarla con freddezza, a stare a distanza, e poco dopo s’era sposata, ed era partita col marito per Oleggio.

Intanto Mario era partito di nuovo per Torino a compiere gli studi.

Ma appena tornato a Novara colla laurea, s’era messo a passare parecchie volte al giorno sotto le finestre della Carmela, a seguirla in istrada, da lontano, perchè, naturalmente, lei non usciva sola, a fissarla col canocchiale tutta la sera, quando gli accadeva di vederla in teatro.

Parecchie volte s’erano incontrati a qualche festa da ballo di famiglia, ed allora lui aveva ballato quasi esclusiva[p. 204 modifica]mente con lei, e le aveva detto delle cose molto significative, per lei che, grazie al precedente di Galliate, era in grado di interpretarle: “Che lui aveva sempre avuto una gran preferenza per le donne brune. Che i dintorni di Novara non erano poi tanto privi di bellezze pittoresche come si diceva. Lui trovava che Galliate era un luogo pieno di poesia. Lui vagheggiava un ideale modesto: avviarsi bene nella sua carriera, associare alla sua esistenza una dolce compagna, bruna, e passare la vita tra lo studio e lei, in una bella casina elegante e piccola...„

Erano i suoi disegni d’avvenire che le comunicava a quel modo; e la Carmela ne era felice.

Due volte il suo babbo le aveva fatte delle proposte di matrimonio. Ma lei, fedele al fidanzato del suo cuore, aveva [p. 205 modifica]rifiutato con un pretesto, per non tradire il suo segreto.

Intanto erano passati tre anni. La Carmela ne aveva dicianove. Mario aveva messo uno studio, e faceva buoni affari. Era tempo di chiudere quel romanzo di amore, che tutta la città conosceva, ed al quale ogni mala lingua faceva un’aggiunta, e molti commenti.

La Carmela in quei tre anni s’era cucito tutto il corredo, s’era preparati molti ricami in colore, per le poltrone del suo futuro salotto, aveva imparato a fare delle conserve, a riporre le frutta per l’inverno, a preparare dei liquori casalinghi, per essere una massaia modello.

Ed aspettava fiduciosa e serena d’essere chiamata a mettere in pratica quelle cognizioni preziose, quando ad un tratto, in una casa terza, in un giorno di visita, in mezzo ad un circolo di signore, si [p. 206 modifica]sentì gettare brutalmente in faccia la nuova tremenda, che distruggeva tutto il suo avvenire:

“L’ingegnere Pedrazzi è sposo.„

Non svenne, come succede nei romanzi, e non abbreviò neppure la sua visita per non farsi scorgere. E stette a sentire le doti e la dote della sposa; una bella dote, perchè Pedrazzi aveva sempre aspirato a fare un ricco matrimonio; era un giovine serio, badava al sodo, era certo che farebbe una bella carriera...

Appena tornata a casa, la Carmela si rinchiuse nella sua camera, e pianse finchè ebbe lacrime negli occhi.

Dovette fare uno sforzo per andare a tavola; ma aveva il viso stravolto, e non mangiò nulla. Se ci fosse stata una mamma, una parente in casa, si sarebbe avveduta che c’era un guaio. Ma la Car[p. 207 modifica]mela viveva sola col suo babbo, vedovo, il quale badava più agli affari che a lei. E potè abbandonarsi alla sua desolazione senza essere interrogata.

Passò la notte intera a ripensarci.

Certo non avrebbe più osato ricomparire in città dopo una simile mortificazione. Avrebbe preferito morire. Ma non si muore quando si vuole.

La Carmela aveva una sorella molto maggiore di lei, maritata già da cinque anni con un ricco possidente di un villaggio presso Santhià.

S’era sposata quando la sorella più giovine era in collegio, e si vedevano una volta all’anno a San Gaudenzio, quando la signora De Lorenzi andava a Novara a passare quel giorno solenne nella casa paterna.

Era naturale che la Carmela pensasse d’andare in quella circostanza da sua sorella. [p. 208 modifica]

Ne parlò a suo padre, il quale consentì facilmente, e telegrafò per annunciare la sua partenza. Ma ricevette un telegramma che le diceva di non moversi, ed in seguito una lettera, che spiegava il telegramma.

Nel paese infieriva la difterite, e la signora De Lorenzi assisteva i suoi coloni ammalati, prima per sentimento di carità, poi per conservare la popolarità del marito, che era sindaco, e non disperava di diventare deputato alle prime elezioni.

Ma questo non iscoraggiò la Carmela. La morte, nello stato d’animo in cui si trovava, non le faceva paura. E ad ogni modo non voleva rimanere a Novara a nessun costo.

Disse a suo padre: che lei non aveva più pace al pensiero che sua sorella era sola, esposta al pericolo d’un contagio, [p. 209 modifica]che voleva andare ad aiutarla, a dividere la sua sorte, ad assisterla, in caso che si ammalasse, a morire con lei...

E si mostrò, o parve, nel suo eccitamento, animata da tanto affetto fraterno e da tanto sentimento di carità, che suo padre le concesse di partire.

Soltanto, lui non poteva accompagnarla. Era professore in un liceo privato, ed, in coscienza, non poteva correre il rischio di portare il contagio ai suoi allievi.

Fors’anche non gli garbava di pigliarlo neppure per sè. Però conosceva un possidente di Tronzano, presso Santhià, che, di solito, era sempre a Novara, nei giorni di mercato, e disse:

— Vedrò. Se Beltrami è qui, domattina lo pregherò d’accompagnarti.

Beltrami c’era. Accettò cordialmente l’incarico, prese la valigia della Car[p. 210 modifica]mela, e fece entrare la signorina in un vagone di prima classe, dove rimasero soli.

Era un vecchio signore grasso coi capelli grigi.

La Carmela si rincantucciò in un angolo del vagone, e, col viso contro il vetro del finestrino, stette a guardare i prati verdi ed umidi, le risaie gialle allagate da un’acqua sudicia, tutta quella campagna monotona, il cui piano liscio, sterminato, era appena interrotto da qualche filare di gelsi, da pochi ciriegi selvatici sui quali s’arrampicavano le viti, dalle case coloniche isolate, rozze, povere.

E pensava:

— Ecco; la mia vita omai scorrerà triste, monotona come questa pianura. Arriverò a cinquant’anni, come sono oggi; più vecchia, più brutta, ma senza [p. 211 modifica]gioie, dacchè non ho più amore nè speranza... Preferirei pigliare la difterite e morire... sarebbe finita!

Sbirciò un’occhiata al vecchio signore, e vedendo che aveva spiegata la Perseveranza, e leggeva attentamente il bollettino della borsa, ne profittò per piangere liberamente.

Ma il suo compagno non era tanto assorto nel bollettino della borsa da non udire i piccoli singhiozzi che le sfuggivano.

Si volse stupito, stette un tratto a considerarla, poi lasciando la Perseveranza abbandonata sul sedile, le si fece accosto e le disse:

— Come! Piange? Un’eroina?

La Carmela stava in un momento d’eccitazione. Aveva bisogno di sfogo, ed in un impeto di sincerità esclamò:

— No, non dica... Io non sono un’eroina! [p. 212 modifica]

— Ma se va a sfidare la morte per curare i contadini difterici...

Il signor Beltrami diceva questo con un’ombra d’ironia. Non amava gli atteggiamenti drammatici, e le ostentazioni d’eroismo inutile.

La Carmela intuì quella disapprovazione per quanto celata, e ne fu punta. Quel vecchio signore aveva un’aria buona ed intelligente nel volto florido, negli occhi scintillanti come quelli d’un giovinotto. Le inspirava fiducia, ed avrebbe voluto che la stimasse; e senza rifletterci molto, tornò a dire:

— Ma io non vado a sfidare la morte. Vado a cercarla, o vado a nascondermi perchè ho un gran dispiacere, e non ho il coraggio di sopportarlo. Ecco che eroina sono!

E ricacciando il volto nella pezzuola, che era già tutta bagnata, riprese a pian[p. 213 modifica]gere, senza ritegno, un po’ sollevata da quella confidenza.

Il vecchio signore lasciò che si sfogasse un poco, ed intanto la guardò fisso con occhio di profonda pietà; poi le disse:

— Via, ora smetta di piangere. Le fa male, e si fa gli occhi gonfi che è un peccato. Mi confidi il suo gran dispiacere. Faccia conto ch’io sia il suo babbo... Ma non tanto severo come lui; un babbo indulgente, pieno di compatimento pei dispiaceri della gioventù, e disposto a ricevere le sue confidenze con cuore da amico... Dica, via. Vuole che siamo amici? Vuol dirmi perchè è afflitta, perchè piange?

Era appunto quanto aveva bisogno quel povero cuore crucciato ed oppresso dal suo cruccio segreto. Un amico a cui confidarlo. Rispose senza scoprirsi il volto, perchè si vergognava: [p. 214 modifica]

— Piango perchè il mio amante mi ha abbandonata.

Il vecchio signore fece un balzo sul sedile, ed esclamò meravigliato:

— Il suo amante? Lei aveva un amante? Ma quanti anni ha?

— Ne ho diciannove. Erano già tre anni che ci si voleva bene...

— Ma il suo babbo, che è tanto severo, le permetteva questa relazione?

— Non la sapeva.

— Non avrà saputo in che rapporti erano; ma infine, che lei conosceva quel giovinotto, che veniva in casa sua, doveva pure saperlo...

— Ma no. Non veniva in casa mia...

Il vecchio signore stette un tratto confuso, poi riprese un po’ esitante, e colla voce un po’ meno dolce:

— Allora era lei... Dove lo vedeva, insomma? [p. 215 modifica]

— Lo vedevo dal balcone.

— Ah! esclamò il signor Beltrami; ed i suoi occhi brillarono più che mai, ed il suo volto tornò sereno. Riprese l’interrogatorio coll’indulgenza di prima.

— E, si scrivevano?

— No...

— Ma come avevano fatto per sapere di volersi bene? Avevano pure dovuto dirselo, o scriverlo...

La Carmela era tutta mortificata. Infatti non se l’erano detto nè scritto. Volle narrare la storia di Galliate, ma quel vecchio signore, alla sua età, aveva perduto di vista gli amori giovanili, e rispose quasi ridendo:

— Se non c’è altro, figliola mia, non è un amante che ha perduto, è un sogno che s’è dileguato.

Le prese tutte e due le mani in una delle sue che era grossa e forte, le pose [p. 216 modifica]l’altra sulla fronte, e rispingendole il capo indietro per guardarla negli occhi, le disse:

— Lei non sa cosa sia l’amore.

In quella lo sportello fu aperto con impeto, ed i guarda freni passarono gridando:

— Vercelli! Vercelli! Chi scende? Dodici minuti di fermata... Vercelli!...

Il vecchio signore scese, ed andò al caffè a bere una tazza di birra.

La Carmela un po’ stupita dal discorso che avevano fatto, dal vuoto che aveva dovuto riconoscere nel suo passato, tenne dietro collo sguardo a quell’uomo attempato, che le aveva inspirata tanta fiducia.

Non era punto grasso, come le era parso alla prima. Era robusto. Teneva il cappello in mano facendosi aria, ed i suoi capelli grigi, ritti sul capo, foltissimi, facevano una bella cornice al volto [p. 217 modifica]fresco. Aveva le sopraciglia ed i baffi castani, appena brizzolati di qualche filo d’argento. E camminava leggero, svelto. Da lontano le accennò se volesse bere, ed i suoi occhi neri brillarono come due fiamme.

La Carmela nel suo profondo abbandono, provò un’ombra di gioia al vedere che quel vecchio amico, non le aveva perduta la considerazione, e sembrava volerle bene anche dopo la sua confidenza. Ed era stupefatta d’avergliela fatta quella confidenza, così, subito, conoscendolo appena. Ma le pareva di conoscerlo da un pezzo. Era così ardito, insinuante, ed aveva una voce così calda, e guardava così direttamente negli occhi. Non si poteva mentire con lui.

Del resto cosa le importava? Non lo sapeva tutta Novara il suo segreto?

Il vecchio signore risalì, tornò a se[p. 218 modifica]dere al suo posto, e riprese la Perseveranza senza parlare. I guarda freni chiusero i vagoni, il convoglio si mosse, ed i due amici rimasero ancora soli.

Ad un tratto il vecchio signore si alzò, andò a sedere accanto alla Carmela, le prese la mano che lei teneva abbandonata in grembo e le disse, come se continuasse il discorso di poco prima:

— L’amore, figliola mia, il buono, il vero, non si accontenta di quelle lunghe separazioni mute, senza una manifestazione, senza uno sfogo. L’amore non bada alla laurea dell’uomo, alla dote della donna, a nessuna considerazione d’interesse. Un uomo che ama arde tutto, freme, desidera con forza, con passione; va direttamente al suo scopo, e domanda francamente, impaziente alla donna che ama:

“— Vuoi esser mia?„ [p. 219 modifica]

Nell’enfasi di quel discorso, il vecchio signore aveva attirata a sè la mano che stringeva, e guardava la Carmela negli occhi tanto davvicino, che il suo alito le sfiorava la bocca.

Non era più vecchio. Era un uomo forte, appassionato e bello.

Quelle parole entravano acute, pungenti nel cuore della Carmela, e le faceva sentire amaramente che, infatti, non era stata amata mai, che s’era illusa. Eppure doveva essere una dolce cosa sentirsi amata così. Una dolce cosa, che lei non proverebbe mai...

Ma mentre pensava questo, invasa da una gran voglia di piangere, di piangere, sul petto di quell’amico di un’ora, che le parlava con tanto calore, sentì un braccio forte e tremante stringersi intorno alla sua vita, e quella voce dolce e profonda ripetere: [p. 220 modifica]

— Di’ vuoi? Voi essere mia moglie, mia compagna nel bene come nel male? Vedi, io ti conosco da un’ora, ti amo da un’ora, forse da meno, ma non aspetto domani a dirtelo.

Poi soggiunse colla disinvoltura d’un uomo avvezzo alle tempeste della vita:

— È vero che ho trent’otto anni, e non ho molto tempo d’aspettare.

E vedendo che la Carmela non parlava, ma tremava tutta e non cercava di sciogliersi dal braccio che la stringeva, riprese:

— Non temere, bambina... So chi sei, e non dimentico che t’hanno affidata a me. Non ti domando che una parola. Di’ non ti spaventano i miei capelli grigi?

La Carmela abbandonò il capo sulla spalla di lui, susurrando:

— Oh no! no!

Scendendo alla stazione di Santhià, il [p. 221 modifica]vecchio signore si fece incontro alla sorella della Carmela dicendole:

— Le presento la mia sposa. Glie l’affido soltanto per poche ore, e la riconduco subito a Novara, perchè ha una gran paura della difterite.

La signora De Lorenzi osservò:

— T’avevo pur detto, di non venire, Carmela.

E la Carmela, dando uno sguardo al suo compagno, rispose:

— Allora non avevo paura di morire.


FINE.