Commedia (Lana)/Inferno/Canto I

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Canto I

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Inferno - Proemio Inferno - Canto II
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CANTO PRIMO


NN





el mezzo del cammin di nostra vita1
   Mi ritrovai per una selva oscura,
   Che la diritta via era smarrita.
È, quanto a dir qual era, cosa dura 1
Questa selva selvaggia e aspra e forte,5
Che nel pensier rinnova la paura!
Tanto è amara, che poco è più morte:
Ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai


  1. V. 4. Tutti gli editori danteschi si trovarono imbrogliati con questo verso, e il martello fu la prima voce. Chi fece Ah, chi Ahi, chi Eh; e si finì per mettere il verbo è dopo era, senz’accorgersi che commettevano ingiuria allo scrittor sommo. I mss. servili al riscontro pel Commento mancano di quel verbo, ma hanno E in principio; altri è vero hanno et; ma non i più né i più antichi. Gli antichi non accentavano, accentiamo noi ed abbiamo netto e vero il verso cui Dante scrisse; il senso: Quanto a dir qual era questa selva, è cosa dura. Il Cod. BV. che io così segno, quello che all’Università di Bologna avea il numero 135 e ora ha il 590 quest’esso portano, e altri. Tuttavia non sarei lontano dall’accettare quel del Cod di Cortona: E quanto a dir qual era cosa dura ec. rispondendo al tanto ec; ma per me quel tanto con quel che segue è uno staccato in sospensivo di considerazione, e di maggior effetto.





1. In questi due primieri Capitoli sicome è detto fa proemio e mostra sua disposizione sì d’essere come di tempo, la quale disposizione per allegoria figura la disposizione della umana specie. Dice: Nel mezzo del camin di nostra vita, cioè in lo mezzo della comune vita, la quale è LXX anni, sichè quando comenzò questa opera avea XXXV anni. Dice che si ritrovò in una selva oscura. Selva,

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     Dirò de l’altre cose ch’io v’ho scorte.
I’ non so ben ridir com’io v’entrai;10
     Tant’era pien di sonno a quel punto,
     Che la verace via abbandonai.
Ma poi che fui al piè d’un colle giunto
     Là dove terminava quella valle
     Che m’avea di paura il cor compunto, 15
Guarda’ in alto, e vidi le sue spalle
     Vestite già de’ raggi del pianeta,
     Che mena dritto altrui per ogni calle.
Allor fu la paura un poco queta,
     Che nel lago del cor m’era durata20
     La notte, ch’i’passai con tanta pieta.





s’intende in vita viziosa, che sicome la selva è uno luogo salvatico e scuro, così la vita viziosa è salvatica rispetto alla virtuosa, ed è scura in quanto conduce lo uomo alla scuritade dello inferno e rimuovelo dalla luce del paradiso. E dice che la dritta via era smarrita, cioè che aveva in sè privazione di vita virtuosa. Or questo figura che la specie umana nel suo principio, cioè in puerizia, si è netta, buona e diritta; poi quando viene circa a mezzo della vita ella è sì lassiva e poco ferma che cade in peccato avendo diletto delle sensitive cose, le quali dilettazioni li conducono in vizii e poi a perdizione, salvo se per dono o grazia del sommo Creatore lo detto difetto non è soccorso e aiutato.

7. Vuol mostrare che quella vita è quasi come morte, salvo che la morte non ha poi alcun soccorso, ma a questa può essere per grazia, com’è detto.

8. Qui mostra come lo uomo si dovrebbe partire da pensare e adoperare tale vita: ma acciò che si possa prendere esempio per saperla schifare, è da farne trattato.

10. Vuol dire ch’ello non s’accorge quando entra in tali vizii, perchè la dilettazione sensitiva tiene la umana natura sì dormentata, che non si sente.

13. Qui mostra come si cominciò ad inlucidare1 ed a cognoscere l’essere suo e figura questa valle per la ditta vita viziosa; e per l’opposito monte figura la vita dritta e virtudiosa: e questo è perchè il monte si avicina più a Dio e la valle più al demonio2.

16. Dice come s’avide che la vita virtudiosa era illuminata dal splendore di Dio, lo quale mena ciascuno dritto per ogni via.

19. Mostra come cominciò a sperare e a fuggirli la paura.

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E come quei, che con lena affannata,
     Uscito fuor del pelago a la riva,
     Si volge a l’acqua perigliosa, e guata,
Così l’animo mio, che ancor fuggiva,25
     Si volse a retro a rimirar lo passo,
     Che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch’e’ posato3 un poco il corpo lasso,
     Ripresi via per la piaggia diserta,
     Sì che il piè fermo sempre era il più basso; 30
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
     Una lonza leggiera e presta molto,
     Che di pel maculato era coverta;
E non mi si partìa dinanzi al volto;
     Anzi impediva tanto il mio cammino,35
     Ch’io fui per ritornar più volte volto.


  1. Il Cod. Laur. XCV, 115, in pergamena, ha chiaro: Ad illucidire.
  2. Al cielo, e la valle più al centro della terra dove sta il demonio. R.
  3. V. 28. Non accetto né riposato, né l’ei per ebbi di Witte; il Commento ha si posò. Col Cod. Altoviti col Laur. XL, 7, col BU. BS e BG è benissimo quello che tengo.




V. 22. Qui dà esempio che sicome colui ch’è passato per pericoloso mare ed è giunto salvo alla riva, si volge per vedere quello pericolo che ha passato, così lui ch’era giunto alla fine di quella selva, cioè della vita viziosa, sì si ripensava in cuore a quanto pericolo era stato, e che se fosse morto in tale stato essere 1, come era perduto; e soggiunge che tal passo non lasciò mai persona viva.

28. Mostra come si posò, cioè che ’l cessò di non operare più vizii: e mostra com’ebbe tentazione di tre vizii principali, cioè: Vanagloria, Superbia e Avarizia. E figura questi per tre animali: Cioè una Lonza: questo animale è molto leggiero e di pelo maculato a modo di leopardo. Or mette ello questa leggerezza a somiglianza che la vanagloria leggiermente sale in lo cuore umano2, e per la varietade mette come per varie cagioni similmente s’accende in lo cuore a chi per bellezza, a chi per gentilezza, a chi per fortezza, a chi per scienzia e a chi per ricchezza etc. Superbia figura in Leone lo quale per sua fortezza signoreggia li altri animali. Or è così che sempre colui che si sente forte vuole superchiare e dominare li altri. E secondo ragione naturale li forti non denno signoreggiare li altri, ma li savi denno essere li signori sì come pruova Aristotile in la Politica che li savi sono e denno essere signori e liberi, e li altri denno essere sudditi e servi. Avarizia figura la Lupa in per quello che siccome la lupa è devoratrice degli altri

  1. Stato ed essere vizioso che l’anima sua era perduta e dannata. R.
  2. quore. Cosi scrissero molti antichi avvegna che parea loro che innanzi la uo non potesse convenire che il q siccome in quivi, quanto. Alcun moderno, il Muzzi Luigi capitanante, ritentò la scrizione ma non fu seguito. Non tutte avviseremo le singolarità: ma bensì serberemo il testo.
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Tempo era dal principio del mattino;
     E il sol montava in su con quelle stelle
     Ch’eran con lui, quando l’amor divino
Mosse da prima quelle cose belle;40
     Sì che a bene sperar m’era cagione
     Di quella fera alla gaietta pelle,1
L’ora del tempo, e la dolce stagione:
     Ma non sì, che paura non mi dèsse
     La vista, che mi apparve, d’un leone.45
Questi parea, che contra me venesse
     Con la test’alta e con rabbiosa fame,
     Sì che parea che l’aer ne temesse:
Ed una lupa, che di tutte brame
     Sembiava carca nella sua magrezza,50
     E molte genti fe’ già viver grame.


  1. V.42 Come il Gregoretti non superò in critica i quattro fiorentini così nol seguo.




animali, e mai non si sazia che sempre istà con fame, così l’avarizia mai non si adempie nè si sazia; ed è una malattia incurabile e pessima che, cotanto come va più inanzi in tempo, cotanto cresce e si radica più in lo cuore umano. E ciò che dice Gilio in libro De regimine principum che di prodigalitade per spazio di tempo si può guarire, ma d’avarizia non è che si guarisca, ma sempre multiplica e cresce. Ora figura lo detto di Dante che la umana generazione è principalmente tentata da tre cosifatti vizii, li quali conformano e affànnosi sì con essa, che nullo da quelli può scampare; salvo se grazia o dono non li soccorre da Colui ch’è datore di tutte le grazie, lo quale testimonia san Jacobo in la epistola Omne datum optimum etc.

V. 37. Mostra poetizando come la grazia se li palesò a soccorso, e dice ch’era in principio del mattino, e che il sole si levava con quelle stelle, cioè ch’era in quello segno in lo quale ello fue alla creazione del mondo, quando prima si cominciò a muovere lo cielo e le stelle. Or toglie ello cagione di speranza per locum a simili in questo modo: che sicome lo creatore fue benivolo al tempo della creazione alle creature, e lo cielo sicome istrumento naturale era in tale disposizione, così lo cielo che mo era in tale disposizione mostrava che ’l creatore li sarave benivolo. Or questo intende ello che il sole era in Ariete lo quale è del mese di marzo: e secondo questa oppinione fue lo principio del mondo, di marzo: e di questo mese medesimo, fue cominciata questa Comedia.

38. Cioè che ’l sole ascendeva insieme coll’Ariete che su quel segno dove era lo sole quando Dio creò lo mondo: e però disse: mosse da prima dunque se ’l sole era in Ariete, e l’autor dice che i pesci

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Questa mi porse tanto di gravezza
     Con la paura, che uscìa di sua vista,
     Ch’io perdei la speranza dell’altezza.
E quale è quei, che volentieri acquista, 55
     E giunge il tempo, che perder lo face,
     Che in tutt’i suoi pensier piange e s’attrista:
Tal mi fece la bestia senza pace,
     Che venendomi incontro, a poco a poco
     Mi ripingeva là, dove il Sol tace. 60
Mentre ch’io rovinava in basso loco,
     Dinanzi agli occhi mi si fu offerto
     Chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
     Miserere di me, gridai a lui, 65
     Qual che tu sii, od ombra, od uomo certo.
Risposemi: Non uomo, uomo già fui,
     E li parenti miei furon Lombardi,




guizzavan per l’oriente, mostra che era quasi appresso il die perchè dopo lo segno de’ pesci ascende Ariete, ed in Ariete era lo Sole; sicchè come Ariete si levava, era lo Sole sopra terra, e per conseguente era die; si che hai che l’ora era presso die.1

V. 52. Cioè la lupa che è figurata all’avarizia, la quale si lo vincea e quasi perdea ogni speranza: e narra nel testo del modo, cioè che a parte a parte lo vincea e raducealo nella valle predetta, cioè nella vita viziosa. 2

60. Cioè in vita scura e tenebrosa. E qui figura la vita beata illuminata dal sole, cioè da Dio; sicché dove lo detto sole non illumina li viene oscurità e silenzio di bene.

61. Qui intende mostrare lo modo del suo soccorso e poeticamente parlando dice che Virgilio poeta li apparve, lo quale, sì come appare nel testo, lo confortò e sottrasse da quella ruina dove ello cadea.

62. Qui intende silenzio lo non essere in uso a li mondani, che a questo tempo sono, lo libro di Virgilio sichè per non usanza pare fioco, cioè arocato, nè non desso suona alcuna cosa.

64. Segue lo poema.

67. Dice come lo padre suo, cioè di Virgilio, fue da Mantova che è in Lombardia, e dice che nacque al tempo di Zulio Cesare: ma quando fiorì in poetrie fu al tempo di Augusto Cesare, in lo quale tempo s’adoravano li idoli, e però dice: al tempo delli dei falsi bugiardi.

  1. Questo tratto del Commento a versi 37 e 38 è ne’ Codici al canto XI, avanti a quello pel verso suo 113
  2. Lo R ha ciò che segue, certo interpolato da quel ch’appare in M., «E questo avviene a ciascuno che la lassa radicarsela in cuore che a poco a poco lo reduce in vizio». Gl’interpolamenti son certo non pochi.
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     E Mantovani per patria ambidui.1
Nacqui sub Julio, ancorché fosse tardi,70
     E vissi a Roma, sotto ’l buono Augusto,
     Nel tempo degli Dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
     Figliuol d’Anchise, che venne di Troia,
     Poiché il superbo Ilïón fu combusto.75
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
     Perché non sali il dilettoso monte
     Ch’è principio e cagion di tutta gioia?.
Or se’ tu quel Virgilio, e quella fonte,
     Che spande di parlar sì largo fiume?",80
     Risposi lui con vergognosa fronte.Blocco centrato


  1. V. 69. Witte s’ innamorò di ambe e due, ambo e due, ambi e due, ambi e dui, che vide in qualche Codice; ma la e aggiuntiva raddoppia il numero e viene a dire l’uno e l’altro, e due. Abbiamo ambidui e ambodui, ma uniti. Qui è detto una volta per sempre: in ciò non seguiamo il Witte.




V. 73. Cioè che fu poeta e fece libro del figliuolo d’Anchises cioè di Eneas lo quale venne in Italia quando per li Greci fue distrutta Troia. Ilion era una fortezza in Troia in mezzo della terra suso una montagna, la quale per sua altezza signoreggiava tutta la terra. Quando fue Troia disfatta, fue anche lo detto monte d’ Ilion arso. 76. Or dice come Virgilio lo soccorresse dallo rimuoversi dallo buono proposito che fece, quando lassò la vita viziosa.

79. Chiaro appare nel testo infino a — molti sono li animali. — Or è da sapere che qui Virgilio distingue a Dante le etadi del mondo in questo modo, che ello dice che molti sono nel mondo quelli a chi questa avarizia si fa mogliera al tempo presente, e più saranno nel tempo ch’è a venire infino ad uno termine che queste etadi fievili e lassive saranno compiute; dopo lo quale compimento tornerà una etade tutta magnifica, libera e larga. Or è da sapere che secondo li savii naturali e astrologi, sicome Albumazar, libro De conjunctionibus, mettono che ’l mondo si regge naturalmente ad etadi in le quali singularmente regge e signoreggia uno pianeto per certo tempo, sicome in li dì della settimana; e poneno che la prima etade reggesse Saturno; in la seconda Jupiter; in la terza Mars; in la quarta Sol; in la quinta Venus; in la sesta Mercurio; in la settima Luna. E poi ricomincerà a Saturno e anderà in questo modo; e questo si dee intendere secondo corso naturale. Or perchè le scienze matematice sono trovate pur dopo lo fatto, in esse si tiene tal modo, ch’ elli diceno quando cotale costellazione fu, fu cotale cosa nel mondo; quando la detta costellazione retornerà, di ragione sarà simile cosa nel mondo. E questo si dee intendere in le cose suddite al cielo. Or mettono elli che nella prima etade del mondo regnò Saturno; e in quella etade non nullo ebbe proprio nel

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O degli altri poeti onore e lume,
    Vagliami il lungo studio, e il grande amore,
     Che m’ha fatto cercar lo tuo volume.1
Tu se’ lo mio maestro e il mio autore:285
     Tu se’ solo colui, da cui io tolsi
     Lo bello stile, che m’ha fatto onore.
Vedi la bestia, per cui io mi volsi:
     Aiutami da lei, famoso saggio,
     Ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi.390
A te convien tenere altro viaggio,
     Rispose, poi che lagrimar mi vide,
     Se vuoi campar d’esto loco selvaggio:
Che questa bestia, per la qual tu gride,
     Non lascia altrui passar per la sua via, 95
     Ma tanto lo impedisce, che l’uccide:
Ed ha natura sì malvagia e ria,
     Che mai non empie la bramosa voglia,

  1. V. 84. Non è lo studio, ma l'amore, che ha fatto cercare il volume. Correggo colla Vind. colla R. e coll’Altoviti.
  2. V. 85. La Vind. il Cod Cavriani, il Cod. 200 dell’Archiginnasio di Bologna che io segno BS hanno dottore invece di autore. Di vero Dante meglio che autorità cercò scienza e dottrina; ma non oso contrappormi con sì pochi testi a tutti gli altri, quantunque io abbia argomento anche in quelli varii visti dal Witte.
  3. V 90. Polso qui sta per cuore come a p. 504 Tav. Rit «La reina, udendo il dolce parlar di Tristano, per lo grande dolore cadde in terra tramortita, e non si sentia nè polso, nè vena». Ma diverso sarà al C. XIII.


mondo, ma ogni cosa liberamente si tenne a comune e con1 tutta larghezza e benivolenzia; e questa etade è apellata etade d’oro, che sicome l’oro è senza ria mestione, così questa etade era senza alcuno vizio. Venne poi la seconda etade che signoreggiò Jupiter, e in questa li uomini cominciònno a lavorare le terre a sua posta e raccogliere li frutti e tenerli per loro. Vero è che avarizia non gli aveva ancora tanto assagliti ch’elli non fusseno larghi e cortesi, ma tutta volta voleano che mancasse inanzi ad altri che a loro. E questa etade è apellata d’argento, che è metallo buono e netto, ma non è così puro come l’oro. E in questo modo come si mutavano le etadi e l’avarizia si assagliva più le persone. Or poneno li savii che noi siamo in la sesta, cioè in quella di Mercurio; lo quale appare, a senso, come l’avarizia ci offende. Quando verrà la settima etade, che signoreggerà la luna, allora ognuno sarà pessimamente avaro. E questo è quello ch’elli dice.

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     E dopo ’l pasto ha più fame che pria.
Molti son li animali a cui s’ammoglia,100
     E più saranno ancora, infin che ’l veltro
     Verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro,
     Ma sapïenza, amore e virtute,
     E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro2105
Di quella umile Italia fia salute
     Per cui morì la vergine Cammilla,
     Eurialo, e Niso, e Turno di ferute.3
Questi la caccerà per ogne villa,
     Fin che l’avrà rimessa nello inferno,110
     Là onde invidia prima dipartilla.


  1. Seguo il Codice Magliabocchiano, che qui è intero, il Vind. ha questo tratto che mi pare interpolato: «tutte vittuarie e frutti erano di ciascuno, e similmente case e vestimenta; sichè in quella etade era» e il R. a «vestimenta» aggiunge «e ogni altra cosa utile e necessaria».
  2. V.105. I Cod. BS e BP hanno nascion per nascimento La lezione è bella ma non sicura.
  3. V. 108. Altri Codici: Eurialo e Turno e Niso



V. 101. Or mette elli che quando la settima sarà compiuta, la signoria ritornerà a Saturno. E per consequens le genti saranno tutte larghe e cortesi; e mette che ’l mondo venera ad uno signore lo quale amerà sapienza, amore e virtude, e non cose temporali nè signoria di terra nè moneta. Per moneta dice peltro, che è uno metallo composto di stagno e di rame: Dice sua nazion sairà tra feltro e feltro. Questo si può intendere in due modi: tra feltro e feltro, cioè tra cielo e cielo, ciò vuol dire per constellazione. L’altro modo tra feltro e feltro, cioè che nascerà di assai vile nazione, che feltro è vile panno. E questo risponde elli a una tacita questione per una oppinione la quale è che di vile padre e madre non può nascere buono e virtudioso figliuolo1.

106. Dice che questo Veltro2 sarà salute de Italia, la quale per contrario elli dice umile, cioè che Italia è superba e viziosa e piena d’ogni magagna; e a volere a punto giudicare di quale Italia

  1. Il Cod. Riccardiano 1037 scritto nel 1375 ha qui il seguente passo: — » Acci chi tiene che sarà un Imperadore il quale verrà ad abitare a Roma e per costui saranno scacciati e ma’ pastori di Santa Chiesa, in cui ha posto che regni tutta l’avarizia, e che egli riconcilierà la Chiesa di nuovo di buoni e santi pastori, e che per questo Italia se ne rifarà». Il Cod. 1075 Laur, ha:» E questo fia un principe savio, che deve essere liberale». Magnifiche allegorie per l’attuale Italia!
  2. Molto già si scrisse su questo Veltro. I moderni traggono in campo spiegazioni di Benvenuto da Imola, fra cui Bianchi Segretario dell’Accademia della Crusca, ignoranti che egli scrisse latino, e le parole da loro date sono del Lana. S’accordano col Lana i passi del Purgatorio XX, 15, e XXXIII, 37 e 4O. Nessuno de’ prossimi al Poeta ne seppe nulla; l’anonimo nominato Ottimo che fu creduto amico del Poeta meno degli altri: non ne parla. Lubin dice bene: è un Messia che a Dante annunziavano i mali d’Italia V. la nota seguente.
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INFERNO. — Canto I. Verso 112 115

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno




elli intende, dice che è quella per la quale morì la vergine Camilla: in la quale indicazione ello tocca incidenter la infrascritta istoria. Elli è da sapere, sicome pone Virgilio in lo Eneidos, che quando Eneas si partì di Troia, ello venne in le parti di ponente in li suoi navilii, e dismontò in Italia, la qual s’intende dal capo di Otranto tutto quello braccio di terra che è terminato per due mari. L’ uno è lo golfo di Vinegia; l’altro è lo mare del leone; e tiene per starla1 dal lato di Vinegia infino a Pola, dal lato del mare del leone infine a Saona; in fra terra tiene infine a quel luogo dove nasce quel fiume che ha nome Po, lo quale è al principio di Provenza: la quale Italia era signoreggiata per uno che aveva nome Re Latino, lo quale avea una sua figliuola, che avea nome Lavinia molto bella. Or la madre della ditta Lavinia, ch’avea nome Amata, la voleva dare a Turno Re dei Rutili per moglie: e lo Re Latino,cudendo grande gentilezza di Eneas, la voleva dare ad Eneas, sichè convenneno osteggiare insieme Turno ed Eneas. Or sentendo lo ditto Turno l’avvenimento di Eneas, volse provedere a sua difesa: e mandò per lo mondo alle sue amistadi che dovessono soccorrerlo. Fra gli altri aiutorii venne la Reina Camilla con grande gente e molte altre persone. Ora Eneas veggendo questo Re Turno essere così forte, ebbe consiglio con la sua gente com’egli potesse vincere: abreviando, non si trovòe chi lo savesse consigliare, salvo che uno li disse: da poi, Eneas, che tu non sai trovare in la tua gente alcuno consiglio di superare Turno, io ti consiglio che tu vadi a tuo padre Anchise, e a lui ti fa insegnare lo modo che tu hai a tenere. Allora andò allo inferno in Elisio, e lì trovò suo padre e da lui prese admaestramento, per lo quale ello vinse la gente di Turno e lui ancise; sì per acquistare Lavinia, la predetta Camilla fu morta. Eurialo e Niso furono della gente di Enea, e a quella battaglia morinno in questo modo: che elli per gran battaglia che durò più die , si smarrinno dalla sua gente, e ricoveronno in una selva, poi funno trovati dalla gente di Turno. In prima Eurialo fu conosciuto e fu morto; quando Niso vide Eurialo morto, lo quale elli molto amava, cominciò a percuotere nella gente di Turno; infine per la moltitudine della gente fu superchiato e morto. Or così come elli metaforiza per avarizia una lupa, così per larghezza metaforiza uno veltro, cioè uno levriero; perch’ è naturale contrarietade malivolenzia tra i lupi e cani. Or dice che questo signore reggerà lo mondo a tanta larghezza, che questa avarizia non sarà nel mondo, ma ritornerà allo inferno del qual luogo lo demonio per la invidia alla natura, overo specie umana, l’addusse nel mondo: e però dice: là onde invidia prima dipartilla. Ancora è da sapere che in tutta questa opera per allegoria s’intende Virgilio per la ragione e discrezione umana.

V. 112. Or dice Virgilio: io sarò tua guida e però mi tieni drieto,

  1. Varii Codici leggono istaria, staria, il Di-Bagno staria. Il Cod. Palatino 400, n. 116 legge anche più male li stagni. La parola staria è anche alla Vind.
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     Che tu mi segui, e io sarò tua guida,
     E trarrotti di qui per luogo eterno;
Ove udirai le disperate strida,115
     Vedrai li antichi spiriti dolenti,
     Ch’a la seconda morte ciascun grida;
E vederai color che son contenti
     Nel fuoco, perché speran di venire
     Quando che sia a le beate genti. 120
A le qua' poi se tu vorrai salire,




ch’ io ti mostrerò tutto quello che per ragione umana si può sapere. Circa la quale proferta è da notare ch’ell’è alcune cose che si possono sapere e cognoscere per ragione e scienzia umana; alcune sono, che sono sì alte e rimote dall’umano intelletto, che la nostra capacità non le può giugnere. E queste così fatte non si possono sapere senza perfetta revelazione; e perciò è la teologia scienzia revelata. Sichè dice Virgilio: io ti mostrerò le disperate grida, cioè lo inferno e coloro che sono contenti nel fuoco, cioè quelli che sono in Purgatorio, che sono contenti di purgarsi nel detto fuoco, con ciò sia cosa che dopo la sua purgazione enno certi d’andare1 alle beate genti, cioè in Paradiso. E queste due condizioni si possono cognoscere per discrezione umana, ch’è pur di ragione umana che colui, che pecca, secondo giustizia dee essere punito; vero è che lo peccato riceve distinzione, ch’egli è peccato ch’è mortale e peccato ch’è veniale. Lo mortale conduce lo uomo a morte, cioè a perdizione, l'altro conduce a pena , poi dopo quella pena, che è purga


come alla Nid. e ai mss. a metà del commento al canto XXXIII dove dice: queste sono due isole poco fuor de la staria di Pisa e indica la Capraja e la Gorgona. Al Purgatorio C. VI,è scharia, S. staria, R., col riscontro prode. Per quanto cercassi e chiedessi non mi potei abastanza illuminare e interpretai che errore fosse di scrizione e dir dovesse estuario; non azzeccai bene. Mi dà lume il Presidente Zambrini con una antica lettera a lui del eh. Salvator Bongi intorno ai tanti stra falcioni di colui che mi fu cagione di ciò che scrissi a pag. CC. Afferma che staria è voce vera, e abondante ne' portolani veneti, che è in Villani sebbene alterata; e che vai costa di terra Di vero, s’accorda col prode del Riccardiano 1005. Ma in Villani stampe e manoscritti, fuor quello che fu di Davanzati e la edizione del Moutier falla su di esso, hanno stanea. Il Moutier rinvenne in quel Cod. di Davanzati stinea e cotal diede, ma mostrò di dubitare della rettezza dell’una voce e dell’ altra. Io considerando le calligrafie de’ codici antichi affermerei che Giovanni Villani scrivesse starea se pure l'istesso staria non scrisse non avendo punti gl’i ne’ codici medesimi. L’ aversene parecchi col sanea, e uno o qualcuno collo stinea manifesta che tutti i primi provennero, via che uno, da mala copia, e quello dello stinea usci esso pure dall’originale, ma non meno infelicemente dell’altro. Restituisco al Lana quello che scrisse, e registrerò neo spoglio la voce fra le antiche degl’Italiani. Per chi voglia vedere in Villani avviso che la voce è nel libro X , ma nelle edizioni vecchie al capo 104 , in quella dell’ Argelati al capo 102, in quella del Moutier al capo 100. Il Moutier vi fa noia e non arriva al chiaro.

  1. Questo passo è in racconcio col Codice Riccardiano n 1005.
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     Anima fia a ciò più di me degna:
     Con lei ti lascerò nel mio partire;
Chè quello imperador che lassù regna,
     125Perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
     Non vuol che ’n sua città per me si vegna.
In tutte parti impera e quivi regge;
     Quivi è la sua città e l’alto seggio:
     Oh felice colui cu’ ivi elegge!
130E io a lui: Poeta, io ti richeggio
     Per quello Dio che tu non conoscesti,
     Acciò ch’io fugga questo male e peggio,
Che tu mi meni là dov’or dicesti,
     Sì ch’io veggia la porta di san Pietro
     135E color cui tu fai cotanto mesti.
Allor si mosse, e io li tenni dietro.




tiva, vae a paradiso. Or questo si vede chiaro. Mo che la vita eterna è si eccellente cosa, la benignitae del creatore è tanta, che per ragione umana non può essere estimata, ma conviene per pietosa voglia del Signore esserne revelata o per profeti o per santi. Sichè questo è quello che proffera Virgilio a Dante io ti mostrerò quello che per ragione umana si può vedere; l’altro ti mostrerà una anima santa alla quale ha voluto lo Signore revelarlo. E intende questa anima Beatrice, la quale per allegoria s’intende la scienzia di teologìa, e risponde, quando dice Che quello imperadore, a una tanta questione che si potrebbe dire, ma perchè non è cosi revelato a te, Vergilio, la beatitudine di Paradiso come a Beatrice? Dice perchè non fu di sua legge, cioè che non fu cristiano; sichè la città di Paradiso non può per lui essere veduta. In tutte parti narra la grandezza di Dio e la beatitudine che segue ad essere cittadino di cotale cittade.1


  1. Infine di ogni Canto porrò i risultati de’ riscontri fatti dall’ OTTIMO COMMENTO al LANA per tagliare una disputazione oziosa, e disingannare chi credette antichissimo e ottimo l’OTTIMO. L’ OTTIMO vero, si vedrà, è il LANA; ma le prove non cominciano che al Canto IV. L’ OTTIMO è uno zibaldone com’ è zibaldone il Cod. Laur XL, 7 che il Witte reputò di Ser Graziolo. Anch’ esso vide il Lana; e ne citerò qualche tratto dove mi gioverà. Il testo di Dante ivi è più antico , ma non è lo stesso che quello a cui valsero le note o commenti, non di rado ripetuti come presi da varii per lo stesso verso. Quelle diverse chiose sono da molto più tardo del 1351, in cui le donne fiorentine furono da pulpiti ammonite di sconvenevole nudità; nè sono sempre dotte, nè sincere.





1. In questi due primieri Capitoli sicome è detto fa proemio e mostra sua disposizione sì d’essere come di tempo, la quale disposizione per allegoria figura la disposizione della umana specie. Dice: Nel mezzo del camin di nostra vita, cioè in lo mezzo della comune vita, la quale è LXX anni, sichè quando comenzò questa opera avea XXXV anni. Dice che si ritrovò in una selva oscura. Selva, s’intende in vita viziosa, che sicome la selva è uno luogo salvatico e scuro, così la vita viziosa è salvatica rispetto alla virtuosa, ed è scura in quanto conduce lo uomo alla scuritade dello inferno e rimuovelo dalla luce del paradiso. E dice che la dritta via era smarrita, cioè che aveva in sè privazione di vita virtuosa. Or questo figura che la specie umana nel suo principio, cioè in puerizia, si è netta, buona e diritta; poi quando viene circa a mezzo della vita ella è sì lassiva e poco ferma che cade in peccato avendo diletto delle sensitive cose, le quali dilettazioni li conducono in vizii e poi a perdizione, salvo se per dono o grazia del sommo Creatore lo detto difetto non è soccorso e aiutato.

7. Vuol mostrare che quella vita è quasi come morte, salvo che la morte non ha poi alcun soccorso, ma a questa può essere per grazia, com’è detto.

8. Qui mostra come lo uomo si dovrebbe partire da pensare e adoperare tale vita: ma acciò che si possa prendere esempio per saperla schifare, è da farne trattato.

10. Vuol dire ch’ello non s’accorge quando entra in tali vizii, perchè la dilettazione sensitiva tiene la umana natura sì dormentata, che non si sente.

13. Qui mostra come si cominciò ad inlucidare1 ed a cognoscere l’essere suo e figura questa valle per la ditta vita viziosa; e per l’opposito monte figura la vita dritta e virtudiosa: e questo è perchè il monte si avicina più a Dio e la valle più al demonio2.

16. Dice come s’avide che la vita virtudiosa era illuminata dal splendore di Dio, lo quale mena ciascuno dritto per ogni via.

19. Mostra come cominciò a sperare e a fuggirli la paura.







  1. Il Cod. Laur. XCV, 115, in pergamena, ha chiaro: Ad illucidire.
  2. Al cielo, e la valle più al centro della terra dove sta il demonio. R.