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Il bombardamento

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IL BOMBARDAMENTO.

Zona di guerra, 31 ottobre.

La immane coltre di fumo dei grandi bombardamenti, spessa e grigia, si è di nuovo distesa sull’Altipiano Carsico.

Da vari giorni i bollettini ufficiali andavano segnalando l’«attività delle artiglierie» su questa fronte. Le batterie entravano in azione a poco a poco, studiavano i loro tiri, li calcolavano, li provavano, li correggevano, profittavano di ogni schiarita del tempo per le loro terribili esperienze; fra una pioggia e l’altra ogni cannone cercava il suo bersaglio, il piccolo settore di fortificazione nemica assegnato al suo fuoco, e si esercitava all’esattezza. L’«attività» dei giorni scorsi non era che raccordarsi degli strumenti. Oggi, sotto ad un sereno smagliante, è ricominciata l’esecuzione, piena, spaventosa, infernale. Più che nel passato le case di Trieste debbono sussultare ai colpi, perchè l’uragano delle esplosioni si è avvicinato a loro di tutta l’ampia zona guadagnata nell’ultimo sbalzo. Non più Nova Villa [p. 285 modifica]è battuta, ma Hudilog, ma Lucatic; Castagnavizza è sotto al fuoco; Comen stessa è raggiunta da grosse granate. Lentamente l’ardente colata della conquista italiana cammina. Negli ultimi due mesi ha divorato oltre sette chilometri di territorio in linea retta, dal Sei Busi al Nad Bregom.


Il bombardamento, cominciato stamane con un preludio di grossi calibri, si va serrando nelle ore più luminose, arriva a quella intensità paurosa che dà l’idea del cataclisma, ed è difficile immaginare come tutta questa prodigiosa violenza che sconvolge la montagna sia disciplinata dal calcolo, corrisponda a precisioni di cifre, attui colpo per colpo un programma matematico, sia la soluzione esatta di problemi numerici studiati minuziosamente nel silenzio degli uffici. Questa guerra ha fatto tramontare i tempi in cui si bombardava semplicemente, portando tanti cannoni di fronte al nemico e facendoli sparare.

L’artiglieria deve coprire letteralmente di colpi delle lunghe zone fortificate, per renderle accessibili all’assalto. Non un metro di terreno deve rimanere intatto. È necessario perciò definire, sopra ogni piccola porzione della linea nemica, l’ampiezza della superficie il cui sconvolgimento è indispensabile ai fini dell’azione. Bisogna quindi calcolare il numero dei colpi [p. 286 modifica] necessari alla distruzione di quel settore; stabilire quali e quante bocche da fuoco occorrono per raggiungere il resultato voluto; studiare gli appostamenti dai quali le batterie, data la varia conformazione del suolo e l’orientamento del settore, possono ottenere i migliori effetti; ricercare su questi elementi le percentuali probabili di colpi utili, tenendo conto delle diverse possibilità di osservazione e di controllo; stabilire la intensità e la durata del fuoco.

Tutti questi problemi che s’influenzano l’uno con l’altro, che si innestano, che formano delle imponenti equazioni, mutano da settore a settore, da trincea a trincea, mutano a seconda dei progetti di attacco. Gli aggruppamenti dei vari calibri sono, per così dire, dosati: le concentrazioni del tiro di dieci, di venti batterie sopra un punto solo, hanno proporzioni precisate scientificamente. Cannoni giganteschi, solitari e lontani, lanciabombe accovacciati quasi sulle posizioni stesse, pezzi da campagna annidati chi sa dove, lavorano metodicamente contro lo stesso muro, contro la stessa ridotta, con una formidabile e ponderata armonia; i primi sfasciano, i secondi disperdono macerie e reticolati, i terzi cercano gli uomini.

Dalle direzioni più inattese i tiri convergono in angoli strani, per i tiri d’infilata, come se i [p. 287 modifica] cannoni disdegnassero i nemici che sono di fronte a loro per colpire quelli che sono verso i fianchi, e le traiettorie si intrecciano secondo linee misteriose, studiosamente definite, tracciate giù su certe carte in complicati e bizzarri disegni geometrici. Oltre al fuoco di demolizione, anche i tiri di interdizione e i tiri di controbatteria richiedono preparazioni enormi e meticolose, organizzazioni complesse basate sul calcolo. L’immenso furore del bombardamento ha una insospettata e perfetta regolarità di meccanismo.

Quando l’ora dell’artiglieria scocca, si scatena un caos di fuoco; per tutto è una apparenza di convulsione e di disordine sterminati; è una bufera che si sferra, e la mente fatica a concepire l’opera colossale di previsione esatta per la quale le esplosioni che sommuovono la terra eseguono vere e precise manovre. Esse sono l’avanguardia dell’assalto. La riuscita dell’azione dipende non tanto dall’intensità del fuoco, quanto da un’accuratezza di cifre, cercate con lungo studio.

La proporzione calcolata fra i colpi utili e i colpi dispersi può variare profondamente per circostanze inattese. Un po’ di nebbia, un po’ di pioggia e nuove incognite entrano nell’equazione. Il nostro sbalzo di settembre sul Carso fu breve, solo perchè un temporale velò per qualche ora il campo di battaglia. E pure il [p. 288 modifica] bombardamento superava in violenza quello della testa di ponte di Gorizia. Pareva dovesse demolir tutto, e demolì una parte soltanto delle difese nemiche. Per la diminuita visibilità, degli obbiettivi il fuoco si sparpagliò un po’ più del previsto. Bastò questo perchè l’efficienza della difesa non fosse ovunque spezzata.

Osservando le vampe dei pezzi nascosti fra le rocce, nei greti, dietro a certi declivi, miriadi di bagliori e di diafani getti di fumo, sembrerebbe che l’unica preoccupazione nello stabilire gli appostamenti sia quella di celare i cannoni al nemico. E invece no. Il cannone si annida in un punto che è determinato solo dalla logica del tiro. La mascheratura è secondaria. Vi sono posizioni, rispetto al bersaglio, dalle quali il fuoco arriva al massimo rendimento. Si tratta quasi sempre di demolire delle difese lineari, e bisogna cercare da dove un pezzo può colpire più spesso in pieno il settore assegnatogli, anche se tira troppo lungo o troppo corto. La disposizione delle batterie ha una corrispondenza lontana e strana col serpeggiare delle trincee nemiche.

Abbiamo descritto tante volte lo spettacolo grandioso di un bombardamento, il tumulto assordante, l’ondeggiare delle masse di fumo, l’eruzione delle schegge e dei rottami, il fiammeggiare delle esplosioni, ma è assai più difficile descrivere l’organismo del bombardamento, [p. 289 modifica] quale immensa mole di studio e di lavoro esso rappresenti, quali rigide leggi conducano la distruzione. Per ogni nuovo attacco la preparazione deve ricominciare su nuovi calcoli; tutto si sposta; tutto cambia. Ecco perchè non si dà ogni giorno un «colpo di spalla». L’attacco è la resultante di quesiti innumerevoli. Quando tutto è pronto, bisogna spesso aspettare che sia pronto il tempo, che l’aria abbia determinate trasparenze.

Oggi il cielo è magnifico. Da mesi non avevamo avuto un così fulgido giorno di sole. Si vedono lontano le punte nevose delle Alpi Giulie, leggere e diafane come nuvolette candide e strane. L’Istria, azzurra e pallida, si distende nel mare, che par fatto di luce, e dilegua in evanescenze di bruma. Solo il Carso è velato, oscuro, torvo, coperto di nembi, percorso da ombre enormi. Il fumo denso lo copre. Le rovine di Oppacchiasella si intravvedono in una bruma fulva. Più lontano, dei ruderi appaiono e scompaiono, come sospesi fra plumbee caligini: Hudilog. Castagnavizza traspare di tanto in tanto, irriconoscibile, nebulosa, fantasma di un paese morto. Le vette del Veliki e del Fajti sono scomparse.

Chi ha visto il vento sollevare a turbini le sabbie del deserto, ritrova la stessa visione oggi sul Carso e nella pianura di Gorizia. Giganteggiano sul campo di battaglia i nembi opachi [p. 290 modifica] di un immobile simun. Nubi e nubi si sprigionano torcendosi, grevi, folte, con volute che richiamano l’immagine della lana. Dalla pianura friulana, da trenta, da quaranta chilometri lontano, si vede il cielo torbido ad oriente, una grande macchia bassa e sfumata ai bordi del sereno. Una tempesta schiaccia l’orizzonte.

Il cielo è solcato in tutti i sensi dal volo degli aeroplani. Spesso si ode il canto delle loro eliche e non si vedono gli apparecchi perduti nel sereno. Passano a un certo momento squadriglie di Caproni. L’azzurro ne è costellato. Sembrano sciami di farfalle giganti. Volteggiano intorno a loro e al di sopra di loro degli aeroplani da caccia, dei punti che scintillano. Il rombo dei motori, eguale, profondo, musicale, è così intenso che si può udirlo nel fragore del bombardamento. Le squadriglie vanno a gettare tonnellate di esplosivi sulle stazioini ferroviarie del Carso. Passano veloci, solenni, svaniscono ad oriente, oltre le brume delle cannonate.

Improvvisamente, nella mattinata, si è udito nel cielo anche uno scoppiettìo di mitragliatrici. Un combattimento si svolgeva a tremila metri al di sopra del mondo. Un nostro aeroplano di osservazione era assalito da tre Albatros. Cercava di sfuggire abbassandosi. I nemici lo [p. 291 modifica] inseguivano. Più veloci di lui e meglio armati, lo sorpassavano e gli giravano intorno, mitragliandolo. Pareva perduto. Ad un tratto gli Albatros hanno abbandonato l’inseguimento e, fatta una rapida ed elegante virata, si sono messi a fuggire. Allora due minuscole cose veementi sono apparse; pareva che fossero scaturite per magia dalla profondità del cielo: due cacciatori italiani. Lo scoppiettìo delle mitragliatrici ha ripreso, ma erano le nostre. Si è visto un Albatros oscillare. Poi ha ripreso il volo regolare. Ha fatto un giro. Ha oscillato di nuovo, e subitamente è piombato. Cadeva a spirale. Tentava di quando in quando di riafferrarsi. Sussultava, risollevava la prora, ricadeva. È scomparso nei boschi del Nad Logem.

È andato ad abbattersi vicino ad un cannone austriaco, un medio calibro preso durante la prima avanzata, quasi per cercare un amico presso il quale morire. Nel momento in cui l’aeroplano nemico, ferito a morte, stava a poche centinaia di metri dal suolo, l’artiglieria da campagna austriaca ha tirato su di lui, a shrapnell, con tiri veloci.

Il bombardamento non ha rallentamenti, continua serrato, intenso. Continuerà per tutta la giornata. Continuerà per tutta la notte. Continuerà domani fino ad un’ora che nessuno conosce. Nelle nostre trincee forse le fanterie cominciano a schierarsi a battaglia....