De mulieribus claris/II

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Capitolo II. Semiramis, Reina degli Assirj

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Capitolo II. Semiramis, Reina degli Assirj
I III


SEMIRAMIS gloriosa reina degli Assirj di che padre nascesse la vecchiezza del tempo ce l’ha tolto. Vero è, come agli antichi autori piace per favola, che essa fosse figliuola di Nettuno, il quale affermano, per errore credendo, essere figliuola di Saturno e Dio del mare. La qual cosa, benchè non sia convenevole a crederla, nondimeno è argomento, quella essere nata di nobili parenti. E questa certamente fu moglie di Nino, nobile re degli Assirj, e di quella generò Nino solo figliuolo. E avendo Nino soggiogata tutta l’Assiria e ultimamente i Battriani1, morì d’una ferita d’una saetta. E essendo morto, quella giovinetta, e il suo figliuolo essendo fanciullo, temendo commettere il reggimento di sì gran regno, e cominciata signoria a sì tenera età, fu di sì grande animo, che ardì quella femmina pigliare con arte e ingegno la nazione, la quale l’uomo aspro avea soggiogata con le armi e signoreggiata con la forza. E con alcun’astuzia di femmina avendo pensato lo grande inganno2 ingannò l’oste dei Cavalieri del marito che era morto. E non fu maraviglia, perchè Semiramis e il figliuolo erano simiglievoli delle membra, e nella faccia: l’una e l’altro senza barba, e la voce del fanciullo non era dissimiglievole da quella di una femmina, e per la statura poco o niente differente dal figliuolo. Le quali cose ajutando quella, acciocchè in processo di tempo non si scoprisse l’inganno, portava coperto il capo di una berretta, le braccia e le gambe portava coperte. E perchè fino a quel tempo non era usanza che gli Assirj andassino sì vestiti, acciocchè la novità dell’abito non desse ammirazione a quelli del paese, determinò che tutto il popolo portasse simile abito. E così quella, che era stata innanzi moglie, mostrava lo giovine per la madre; e con maravigliosa diligenza, avendo presa la maestà del Re, servò quella e lo magisterio della milizia. E mettendosi essere uomo, adoperò molte grandi cose, nobili per fortissimi uomini.3 E poichè non risparmiavasi di alcuna fatica, non impaurita d’alcuno pericolo, soperchiò l’invidia di non uditi fatti di ciascuni uomini; non temè manifestarsi ad ogni uomo chi ella fusse acciocchè ella non mostrasse, sè avere usato inganno di femmina, quasi come ella volesse mostrare, che alla signoria bisogna d’avere animo e non essere maschio. La qual cosa quanto diede d’ammirazione a quelli che la videro, tanto ampiò la gloriosa maestà di quella donna. Acciocchè noi leviamo i suoi fatti più alti palesamente, dappoi la maravigliosa trasmutazione, da uomo4 prese le armi: non solamente difese l’imperio che il suo marito aveva acquistato, ma aggiunse a quello l’Etiopia assalita da lei, e vinta con Aspra guerra: e di poi convertì contro a quelli d’India le forti arme, ai quali fino a quel tempo non era andato alcuno se non suo marito. E sopra questo, riparò Babilonia, antichissimo edificio di Nembrotto, città in quei tempi nei campi di Sennaar5, e circondolla di mura fabbricate di pietre cotte e di pegola, alte, e grosse di maraviglioso circuito E acciocchè delle molte cose fatte da lei, d’una solamente faccia memoria6, dicesi che certissima cosa fu, che avendo ella messa ogni cosa in quiete, e standosi in riposo, un dì facendosi pettinare dalle sue donzelle secondo l’usanza delle donne, e secondo l’usanza del paese facendosi fare le treccie, non avendo ancora pettinata se non mezzi cappelli, avvenne che le fu annunziato, che Babilonia era ribellata, e venuta in signoria di un suo figliastro. La qual cosa ella portò sì molestamente, che gittò via il pettine, subito lasciato l’esercizio di femmina, levossi irata, e prese l’armi, e subito assediò quella fortissima città. E non restò di cessare quei cittadini che restavano, in fin che dopo lungo assedio ridusse quella potentissima città a sua signoria per forza d’arme, istanca per lungo assedio. Del quale sì animoso fatto fece testimonianza per lungo spazio una statua di metallo posta diritta in Babilonia, la quale era una donna che a veva mezzi capelli sciolti e sparti, e mezzi ritorti in una treccia. Ancora ella edificò molte città di nuovo, e fece di grandissimi fatti, i quali la vecchiezza ha sì consumati, che non ne sono pervenuti, infino al nostro tempo alcuni, se non quasi questi che io ho detto. Poi finalmente questa donna cominciò a scellerato peccato: bruttò tutte queste cose, di perpetua memoria lodevoli, non che in una femmina, ma eziandio in ciascuno forte uomo maravigliose cose. Perchè essendo ella stimolata, come le altre, di peccato carnale, fu creduto che ella peccasse con molti, e tra gli altri con chi ella peccò fu Nino suo figliuolo, benchè questo fusse cosa piuttosto bestiale che umana: e quel giovine di eccellentissima bellezza, quasi come se egli avesse mutato di esser femmina, ed ella maschio, marcivasi nelle camere in ozio; dove ella s’affaticava in arme contro a’ nemici. O che scellerato fatto è questo, che questa pestilenzia devitevole, non dico quando le cose sono quiete, ma tra i faticosi pensieri del Re, e le sanguinose battaglie; e che è fuori di natura! Tra gli pianti e gli esilj, non facendo alcuna distinzione di tempi, piglia e conduce in pericolo la mente di quelli che non sono caduti, e macchia ogni onore di vituperosa infamia. Della quale bruttura Semiramide pensando ammorzare colla sagacità quella fama che lasciva avea bruttata, dicesi che ella fece quella vituperosa legge, per la quale era conceduto ai suoi soggetti, che nei fatti di lussuria egli facessero come gli paresse. E temendo di essere ingannata dalle donne di casa, ella prima, secondo che alcuni hanno detto, trovò l’usanza delle mutande, e quella faceva usare alle sue femmine, serrandole con chiavi; la quale cosa ancora si osserva nelle parti d’Egitto e d’Africa. Alcuni altri hanno scritto che essendo ella innamorata del figliuolo, e quello essendo di compiuta età, volendo ritrattare il peccato, ella l’uccise, avendo ella regnato anni ventidue. Ma alcuni altri si discordano dagli altri, e da questi: e dicono che, come ella aveva commesso l’adulterio con alcuno, incontanente lo faceva uccidere, acciocchè il peccato stesse celato. E dicono che essendo ella alcuna volta ingravidata, per lo parto si manifestava, e per essere scusata, dicono che ella fece quella legge, della quale poco d’avanti fu fatta memoria. E benchè paresse alquanto tenere coperto lo disconcio peccato del figliuolo, non potè tor via la indegna azione di quello, perchè mosso a ira uccise quella scellerata reina; o perchè egli vedesse lo suo peccato comune con molti altri, e per questo lo portasse meno pazientemente; o che egli giudicasse sua vergogna la disonestà della madre; o forse perchè temeva che nascesse figliuolo a sospezione dell’impero.


Note

  1. Cod. Cass. Bati. Test. Lat. Bactrianis.
  2. La parola inganno mancante nel Codice è necessaria, poichè leggesi nel testo lutino: Astu quodam muliebri excogitata fallacia... decepit exercitum.
  3. Cod. Cass. Adopero molte grande chose enobili efortissimi huomini. Test. Lat. Grandia multa, et robustissimis viris egregia operata est. Betussi molte gran cose, ed egregi fatti con valorosissimi uomini opero.
  4. Cod. Cass. ogni uomo prese larmi. Test. Lat. virili animo armis... tutavit imperium (Semiramis).
  5. Cod. Cass. città in quei tempi dismar, ecirchundolla, ecc. Abbiamo aggiunte le parole nei campi, poichè nel Test. Lat. si legge: vigentem... in campis Sennaar.
  6. Cod. Cass. E acciochio dicha molte chose fatte dallei una solamente difarne memoria. Dicesi, ecc.
    Test. Lat. Et ut ex multitudine ejus gestorum unum memoratu dignissimum extollentes dicamus.