Dei delitti e delle pene (1780)/Capitolo VI

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Capitolo VI. Della cattura.

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§. V I.


Della Cattura.


Un errore, non meno comune, che contrario al fine sociale, che è l'opinione della propria sicurezza, è il lasciare arbitro il magistrato esecutore delle leggi, d’imprigionare un cittadino, di togliere la libertà ad un nemico per frivoli pretesti, e il lasciare impunito un’amico ad onta degl’indizj più forti di reità. La prigionìa è una pena che per necessità deve, a differenza di ogni altra, precedere la dichiarazione del delitto: ma questo carattere distintivo non le toglie l’altro essenziale, [p. 23 modifica]cioè, che la sola legge determini i casi nei quali un uomo è degno di pena. La legge dunque accennerà gl’indizj di un delitto, che meritano la custodia del reo, che lo assoggettano ad un esame e ad una pena. La pubblica fama, la fuga, la stragiudiciale confessione, quella di un compagno del delitto, le minacce, e la costante inimicizia coll’offeso, il corpo del delitto, e simili indizj, sono prove bastanti per catturare un cittadino. Ma queste prove devono stabilirsi dalla legge, e non dai giudici, i decreti de’ quali sono sempre opposti alla libertà politica, quando non sieno proposizioni particolari di una massima generale esistente nel pubblico codice. A misura che le pene saranno moderate, che sarà tolto lo squallore e la fame dalle carceri, che la compassione e l’umanità penetreranno le porte ferrate, e comanderanno agl’inesorabili ed induriti ministri della giustizia, le leggi potranno contentarsi d’indizj sempre più deboli per catturare. Un [p. 24 modifica]uomo accusato di un delitto, carcerato, ed assoluto, non dovrebbe portar seco nota alcuna d’infamia. Quanti romani accusati di gravissimi delitti, trovati poi innocenti, furono dal popolo riveriti, e di magistrature onorati! ma per qual ragione è così diverso ai tempi nostri l’esito di un innocente? perchè sembra che nel presente sistema, criminale, secondo l’opinione degli uomini, prevalga l’idea della forza, e della prepotenza, a quella della giustizia; perchè si gettano confusi nello stesso carcer segreto, gli accusati, e i convinti; perchè la prigione è piutosto un supplizio, che una custodia del reo, e perchè la forza interna tutrice delle leggi è separata dalla esterna difenditrice del trono e della nazione, quando unite dovrebbon essere. Così la prima sarebbe per mezzo del comune appoggio delle leggi combinata colla facoltà giudicativa, ma non dipendente da quella con immediata potestà; e la gloria, che accompagna la pompa ed il fasto di un corpo [p. 25 modifica]militare toglierebbero l’infamia, la quale è più attaccata al modo che alla cosa, come tutti i popolari sentimenti; ed è provato dall’essere le prigioni militari nella comune opinione non così infamanti come le forensi. Durano ancora nel popolo, ne’ costumi, e nelle leggi, sempre di più di un secolo inferiori in bontà ai lumi attuali di una nazione, durano ancora le barbare impressioni, le feroci idee dei settentrionali cacciatori padri nostri.