Del disordine e de' rimedii delle monete nello stato di Milano/Parte seconda/Applicazione

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Parte seconda - Applicazione de' Principii universali al caso nostro

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Parte seconda

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APPLICAZIONE DE’ PRINCIPII UNIVERSALI

AL CASO NOSTRO


L’epoca fatale in cui cominciò fra di noi la malattia politica delle monete, fu la medesima in cui si dette un crollo al nostro commercio, tanto florido in prima e sempre decaduto dappoi, cioè al principio del passato secolo. Fu in quel tempo che quasi l’Italia tutta non solo alterò le proporzioni fra oro e argento, ma adulterò e circoncise la moneta bassa, e diede essere ad un valore immaginario ed ad un prezzo metafisico, potendosi perciò dire che la tirannia del Peripato dalle università si insinuò ne’ gabinetti, e diede leggi alle monete ed al commercio.

Il raddoppiamento del Capo di Buona Speranza costò all’Italia la perdita del commercio e per conseguenza del danaro. Cambiatasi la direzione de’ viaggi, fu ella lasciata in un angolo, quando prima era il centro d’ogni commercio e la patria delle nazioni tutte. L’aumento della massa circolante che ravvivò l’industria e fece fermentare gli animi delle altre nazioni, non servì all’Italia che ad alterare il sistema monetario; ne ebbero gli Italiani, avvezzi a dare la legge, l’avvedimento di seguire l’altrui, [p. 412 modifica]poichè la necessità delle circostanze lo esigeva; nè fecero regolamenti appoggiati a sodi principii onde rimettersi a livello colle altre nazioni. Lungo sarebbe il tessere la storia di tutti quegli editti che non furono altro che ferite al sistema delle monete e decreti d’impoverimento: altri vi è che ha già compilata la storia del nostro commercio, ed ha posto in chiaro il disordine con cui l’economia politica è stata trattata fra di noi per cento settanta e più anni, quanti ne durò la dominazione Spagnuola; se questa storia vedrà la pubblica luce, sentirà sempre più ogni buon cittadino quanto sia degno di benedizione il governo della Augusta Casa d’Austria di Germania, la quale dacchè felicemente regna nella Lombardia ha distrutti in gran parte gli ostacoli che si erano opposti al pubblico bene; ed è da sperarsi che anche nelle monete sentirà questa provincia i benefici effetti de’ veri principii che le tengono regolate negli altri stati suoi ereditarii. Ma veniamo al caso nostro.

Per esporre alla più chiara luce il disordine attuale delle nostre monete conviene esaminare la legge regolatrice di esse monete, sotto la quale viviamo; perciò la prima tavola ch’io presento contiene l’ultima tariffa di Milano, a cui di contro ad ogni moneta ho opposta la quantità di metallo fino che vi si contiene. Di più, vi ho aggiunte alcune altre monete inutilmente escluse, le quali attualmente circolano fra di noi.

Mi sono appoggiato su i saggi fatti a Torino e altrove, quali ce li dà il conte Carli. L’autorità di questo illustre scrittore, la sua scrupolosa diligenza sono maggiori d’ogni eccezione. [p. 413 modifica]Il fino di alcune monete poi che mancano nella grand’opera del conte Carli, l’ho cavato dalle tavole pubblicate nella relazione del presidente Neri.

I nomi di caratto, di marco, di peggio ec. credo utile al mio fine di lasciarli; perciò le mie tavole sono affatto diverse da quelle degli altri autori; non per i soli professori di questa scienza, ma per tutti gli altri uomini di retto giudizio mi sono prefìsso di scrivere, e sarò ben contento del tempo che vi ho impiegato, se essi vi troveranno la verità e la chiarezza che mi sono studiato di ricercare. I secondi rotti nella tavola seconda e terza gli ho omessi, bastando i primi a dare l’idea che credo opportuna. Ved. tav. I.

Questa prima tavola non è tanto necessaria ad esaminarsi per se medesima, quanto lo è considerandola come base e fonte dalla quale ne nascono le altre. In essa contengonsi i fatti, il valore intrinseco che risulta dagli sperimenti, ed il valor numerario che risulta dalla tariffa.

Come nel primo teorema abbiamo stabilito che una eguale quantità di metalli deve corrispondere ad un egual numero di lire in ogni moneta; così mi son portato ad esaminare ogni moneta per osservare se nella tariffa si fosse obbedito a questa legge. Ho calcolato quanto di fino contengano cento lire in diverse monete, e il risultato de’ calcoli è che questa relazione è differente in ogni moneta; cosicchè prendendo fra le monete d’argento la lira di Savoia e la Genovina, possono nel cambio le [p. 414 modifica]nazioni estere guadagnare a nostro danno lire 10 sol. 8 dan. 4 per cento; e fra le monete d’oro cambiando la dobla di Genova collo zecchino di Savoia, lire 16 sol. 9 dan. 8. per cento di profitto possono gli stati commercianti con noi ritrarre dagli errori della nostra tariffa. Ved. tavola II.

Dopo aver dimostrato nella seconda tavola le sproporzioni che sono nella tariffa fra oro e oro, e fra argento e argento, ho paragonata ogni moneta d’oro con ogni moneta d’argento, e da questo paragone ne risulta che la legge fissata nel secondo teorema non vi è osservata, cioè che l’oro coll’argento non ha una eguale e costante proporzione, ma essa è talmente arbitraria, che lasciando i rotti, ora è come uno a dodici ed ora come uno a sedici. Se due cose eguali a una terza lo sono fra di loro, ne viene che abbiamo aperta la strada alle nazioni commercianti con noi di estrarre 16 once di fino argento per 12 once di egual metallo che ci mandano, e così continuare il rovinoso commercio a nostro danno coll’insigne discapito del 25 per cento. Ved. tavola III.

A questi disordini se ne aggiungono due altri. Il primo è l’enorme sproporzione che passa tra il filippo e i cinque soldi di Milano, poichè contengono essi circa quindici grani d’argento fino, che per ogni lire cento danno grani 6000, quando il filippo dà grani 6926 circa. La differenza è dunque di grani 926, i quali grani a danari 3 al grano fanno lire 11 soldi 11 danari 6 per ogni cento lire.

Il secondo è la grandissima differenza che [p. 415 modifica]passa fra i venti soldi in rame e la lira d’argento: poichè i venti soldi non hanno che di valore intrinseco e di valore chimerico secondo il calcolo evidente del conte Carli, Tom. II, pag. 468, al quale m’attengo, cosicchè di cento mila lire in moneta di rame non se ne ha che settanta mila di vero valore reale e trenta mila d’immaginario.

Poichè abbiamo sottoposti alla dimostrazione del calcolo gli sbagli della tariffa, credo opportuno, prima che io proponga i rimedi a questo male, di fare qualche cenno delle opinioni che più volgarmente si odono ripetere. E primieramente taluni credono che il nodo misterioso in questa materia sia il decidere se all’oro o all’argento si debba dare la preferenza. Questa dubitazione suppone una perfetta oscurità ne’ principii, i quali anzi insegnano di non dare preferenza veruna: quanto sin qui si è detto lo prova abbastanza.

Altri informati che il principale commercio d’Oriente, e particolarmente della China, si fa dagli Europei col solo argento ad esclusione dell’oro, vorrebbero dar preferenza all’argento. Lo sbaglio nasce dal voler calcolare due volte la medesima quantità, la quale è già stata considerata nel valor medio Europeo. Noi abitatori di un piccolo stato, sconnessi dal commercio delle Indie Orientali, non dobbiamo aspettare dalle estremità dell’Asia veruna immediata influenza.

Vorrebbero altri che dai limitrofi soltanto prendessimo la legge. O i limitrofi sono in equilibrio col resto d’Europa ed hanno le loro tariffe regolate secondo la verità e natura delle [p. 416 modifica]cose, e allora sarà bene regolarci con essi, non perchè sieno limitrofi, ma perchè andando essi per la strada vera dobbiamo esser loro del pari: o i limitrofi s’allontanano da questa strada, e allora in vece di unirci con essi, il che sarebbe un volere discapitare nell’associazione, regolandoci anzi secondo la verità, verremmo a cavar profitto dagli errori da essi fatti.

V’è chi dice: essendo piccolo paese il nostro, non è possibile fissarvi regolamento nè dar legge alle monete. Se questa proposizione s’intendesse nel suo buon senso, sarebbe una vera massima, cioè che non abbiamo noi bastante influenza sull’Europa per mutare la relazione de’ metalli, onde ci conviene ricevere la legge, non darla. Ma chi così parla, forse non ha di mira questo principio. In ogni caso un paese anche piccolo può regolare la legge monetaria in guisa che il valor numerario corrisponda costantemente alla quantità dell’intrinseco, e che costantemente pure conservisi la proporzione da metallo a metallo, il che vuol dire aver ben regolate le monete.

Taluni pensano di aver rinchiuso in un solo aforismo la scienza monetaria, col dire che bisogna che una moneta non compri l’altra. La proposizione contraria è appunto la vera, se la parola comperare significa avere un valore proporzionato; se poi s’intende che comperare significhi aver un valore eccedente intrinseco con eguale numerario, o sia eguale intrinseco con eccedente numerario, allora sarà una proposizione esposta con termini inadequati.

Altri non mancano, i quali vedendo ineseguite [p. 417 modifica]le passate gride monetarie, vanno incolpandone il popolo, anzi che la cattiva natura della legge, e disperano di regolar bene le monete perchè il popolo non vuole ubbidire. Sin che vi saranno saggiatori e acqua forte, non si potrà ingannare il popolo in materia di monete. Quel niso che porta il popolo ad accrescere il valor numerario delle monete, è appunto una correzione che per istinto la natura stessa cerca di fare allo sbaglio della legge monetaria. Gli esteri, gli argentieri e i cambisti ricevono le sole monete dove il valor numerario sia accompagnato da un intrinseco, e il popolo preferisce più le monete che più universalmente si ricevono. Facciasi una legge conforme alla verità, e cesserà la disubbidienza del popolo, o, per dir meglio, l’errore della legge 1.

Nè sarei io del parere di quelli i quali temono gli argentieri come capitali nemici del regolamento monetario; profitteranno essi bensì de’ nostri errori; ma fatta che sia la legge veridica, o fonderanno essi le monete per trasmettere l’oro e l’argento lavorato fuori, ed è [p. 418 modifica]sicuro che non solo rientrerà eguale quantità di metallo, ma di molto maggiore per il prezzo della manifattura; o colle monete fuse eserciteranno la loro arte per gli interni nostri bisogni, e certamente non si toglieranno dalla massa circolante le monete che a misura che la massa totale medesima s’accresce, dal quale accrescimento prende norma il lusso. I mobili d’argento e d’oro sono come un tesoro al quale ricorrere nelle estremità, senza che frattanto la massa circolante sia grande a segno di pregiudicare le nostre manifatture nella concorrenza 2.

Alcuni finalmente per rimediare a’ nostri disordini ricercano le paste delle nazioni che possedono miniere, onde battere moneta. Io stimo assurdo e contraddittorio questo progetto. Le nazioni padrone delle miniere non danno le paste a chi le vuole, ma a chi porta loro un equivalente; o le paste ci verranno in iscambio del danaro che invieremo, e allora al più daremmo colla mano destra quello che ricevessimo colla sinistra: dico al più, poichè la spesa della trattazione, del trasporto e del conio sarebbero in perdita nostra, e così non si farebbe che dare accrescimento ai mali che il progetto dovrebbe alleggerire. Che se si pretenda che le paste ci vengano invece delle nostre mercanzie, allora il ricercare le paste vorrà dire che conviene stabilire e proteggere un buon commercio d’industria, che ponga un tributo su i bisogni e i piaceri delle altre nazioni; ma per far questo non si comincia dal domandare le paste. [p. 419 modifica]

Quanto poi al desiderio di mettere in lavoro la zecca, io osservo che per un paese come il nostro, che non ha miniere nè commercio marittimo, due soli sono i casi nei quali può battere moneta con profitto. L’uno è riformare la moneta bassa ed aggiungere in sostanza quello che non ha che in apparenza; l’altro è quando sia esso circondato da altre nazioni nelle quali regnino ancora le tenebre e il caos fra le monete. Allora estraendo dalla mal regolata nazione le migliori monete in iscambio delle peggiori che vi si introducono, e riducendo le prime alla forma delle seconde, si arricchirà la nazione avveduta a spese dell’altra, e sarà questo un costante tributo pagato dall’indolenza all’industria. Fuori di questi due casi il battere moneta non è altro che una commedia di trasformazioni, una perdita inevitabile di metallo nelle operazioni della zecca ed un pubblico discapito, il quale si converte talvolta in bene d’un progettista, che con pagliati sofismi maschera il proprio guadagno col manto del vantaggio del sovrano inseparabile da quello della nazione 3. [p. 420 modifica]Dopo aver fatti vedere i disordini del presente sistema monetario, e la insufficienza dei mezzi volgarmente proposti, ora è tempo che venendo alla conclusione proponga i rimedii per questa malattia che va ogni giorno più inferocendo, e che è il soggetto delle conferenze dei ministri e dei discorsi del popolo.

Primo rimedio è costruire una tariffa in cui la stessa quantità d’oro fino vaglia sempre lo stesso numero di lire in ogni moneta, e così dell’argento, ovvero che vi sia una costante equazione fra il valor fisico ed il valor numerario. Di più: dee in essa tariffa aver l’oro la costante proporzione coll’argento di 1 a 14½, poichè questa è la vera proporzione media Europea al dì d’oggi, come lo ha dimostrato evidentemente il conte Carli in quasi tutto il suo secondo tomo.

Secondo rimedio. Siccome la proporzione fra i metalli varia per le diverse vicende del commercio e delle miniere, così non può sperarsi di fissare una legge perpetua alle monete; ma bisogna, tenendo perpetui i principii stabiliti, secondare l’instabile livello di Europa. Sarebbe perciò indispensabile, per ovviare ai disordini avvenire, la scelta d’un ministro particolarmente consacrato a questa materia, il quale colle tariffe di tutte le nazioni alla mano vegliasse al cambiamento della proporzione, e con questo termometro riformasse al bisogno il prezzo delle monete, e fissasse col mezzo de’ saggi il valore delle nuove monete che s’introducono; giacché le nobili monete estere è per lo meno inutile [p. 421 modifica]il proscriverle 4 da un paese così limitato come lo è il nostro 5.

Io ho costrutta una tavola in cui il valore di tutte le monete che sono registrate nell’ultima tariffa di Milano, come pure di alcune altre bandite 6 viene esattamente regolato secondo i canoni da me stabiliti 7. Ho voluto [p. 422 modifica]scrupolosamente porvi i primi rotti per sino de’ denari, acciò in essa la sola verità avesse luogo, non il mio privato arbitrio; sebbene allorchè si trattasse di pubblicarla come legge, converrebbe forse in alcune monete discostarsi qualche poco dalla estrema esattezza in grazia del comodo conteggio. Vedi tav. IV.

Conservo presso di me tutti i calcoli fatti per la costruzione di queste mie quattro tavole, e mi farò piacere di persuadere colla dimostrazione chiunque dubitasse della verità dei risultati, nè sapesse da se medesimo dalla prima tavola contenente i fatti, esaminare le conseguenze che formano le altre tre.

Confesso che sarebbe ottimo provvedimento il rifondere la moneta di rame, ed aggiungere ai soldi quei sei ventesimi che mancano per ogni lira; allora corrisponderebbe la lira a due quindicesimi appunto di filippo; ma se mancasse il fondo per questa pubblica beneficenza, [p. 423 modifica]egli è sicuro però che frattanto ristabilendo la vera proporzione fra le monete di oro e d’argento, chiuderemmo l’adito al funesto commercio che si va facendo col cambio delle monete, e ci metteremmo in caso di profittare della sproporzione altrui. Allora la moneta bassa dovrebbe considerarsi non come vera moneta, ma come in parte una rappresentazione di essa, appunto in quella guisa che si considerano le cedole di banco 8.

L’amore della verità, lo zelo per gl’interessi dell’Augustissima Sovrana e della patria, oggetti entrambi ai quali per tanti dolci vincoli l’onesto suddito e cittadino si sente legato, mi hanno guidato in queste brevi riflessioni. Sarò troppo ricompensato, se potrò accorgermi di essere stato in qualche modo utile in una materia sì interessante, ma in ogni caso sarò contento del mio destino, se gli uomini che hanno l’intenzione eguale alla mia lo saranno del mio desiderio.

  1. Gli uomini sono troppo amanti del loro ben essere per discostarsene un momento. Una legge contraria a questo non è mai in vigore. A questa resistono le leggi fondamentali di natura, che sono scritte nel cuore dell’uomo con caratteri più indelebili che non in bronzi o in marmi, che cedono al tempo distruggitore. Le leggi arbitrarie per la loro insussistenza altro non fanno che avvezzare il popolo a non considerare la trasgressione delle leggi come fatali al proprio vantaggio. L’indocilità degli uomini è quasi sempre effetto d’un vizio nella legislazione.
  2. Veggasi David. Hume, Disc. polit. sur l’argent.
  3. “Que dans un besoin de l’état un ministre imprudent permette pour une somme à des traitans de faire des quarts d’écu d’un argent moins fin de la moitié de celui des écus, et cependant de la valeur numéraire d’un quart d’écu.... l’habile négociant et l’étranger feront leur payement en quarts d’écus, et tâcheront de recevoir en écus qui feront refondre en quarts avec profit de moitié. Le roi ne sera plus payé qu’en quarts d’écus, et ce qu’il aura tiré de cette fabrication tournera à sa perte et a celle de l’état en faveur de l’étranger”. Melon, Essai politiq. sur le commerce, chap. 12.
  4. Fra gli altri paesi che così costumano, vi sono in Germania Amburgo e Francfort sul Meno che ricevono indistintamente qualunque moneta al vero intrinseco: Bielfeld, Inst. Polit. T. 1, ch. 14, § 29.
  5. “E per levare ogni tentazione di guadagni, e tutti i segni nettare, e la cosa far tutta orrevole e chiara e sicura, vorrebbe della moneta tant’essere il corso, cioè spendersi per quell’oro o argento che v’è, e tanto a valere il metallo rotto o in verga, quanto in moneta di pari lega, e potersi a sua posta senza spesa il metallo in moneta e la moneta in metallo quasi animale anfibio trapassare. In somma vorrebbe la zecca rendere il medesimo metallo monetato ch’ella riceve per monetare”. Davanzati, Lezione delle Monete, pag. 157.
  6. Se lo zecchino di Genova non è stato falsificato, ma è quale ce lo danno i saggi di Torino estratti dal conte Carli, T. 2, pag. 342 e 346, lungi dal meritare di essere escluso, merita un maggiore valore del gigliato.
  7. Io ho preso per campione dell’oro il gigliato a lire quindici, valore a cui le orecchie del popolo sono accostumate, indi ho dato egual valore numerario, cioè lire quindici alla porzione d’argento fino che contenesse quattordici volte e mezzo il peso del fino del campione dell’oro. In questi dati il grano d’oro viene a valere soldi quattro danari due , e il grano d’argento danari tre crescenti.
    Se a taluni non piacesse la scelta del gigliato, si può coi principii stabiliti formare un’altra tariffa prendendo il filippo o la doppia di Milano per campione. Oltre l’abituazione del popolo, altre ragioni ini hanno determinato alla scelta del gigliato a lire quindici. Li dieci soldi che si aggiungono alle quattordici e mezzo (prezzo presente del gigliato secondo la tariffa) scemano di più del tre per cento la sproporzione fra la moneta di rame e la stabile. La lira, che è la misura comune delle pubbliche e private ragioni, non soffre in questa maniera quelle sensibili alterazioni che producono l’incertezza e i litigi ne’ contratti.
    È inutile l’avvertire che i prezzi di questa tariffa suppongono le monete nè tosate nè calanti. Quando un gran numero di queste s’introduce in uno stato, si dovrebbe a proporzione del calo scemare il prezzo.
  8. Le cedole di banco sono fatali all’aumento della massa circolante. Esse non fanno che raddoppiare il valore numerario senza aumentarsi l’intrinseco, circolando il danaro che rappresentano e la sua rappresentazione, cioè le cedole. Se la moneta di rame è da proscriversi perchè contiene il trenta per cento di meno, molto più sono da proscriversi le cedole che contengono di meno il cento per cento. Una nazione, se non ha tanto d’intrinseco che basti per pagare i suoi debiti, non li pagherà giammai collo scrivere su una carta debbo tanto d’intrinseco. Le cedole di banco sono una confessione di un debito, non un pagamento; e chi le cede ad altri, non dà danaro, ma cede un credito.