Del principe e delle lettere (Alfieri, 1927)/Libro terzo/Capitolo VII

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Capitolo VII

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Capitolo Settimo

Dell’impulso artificiale.

Ma quell’altro lettore da me qui sopra accennato, che dalla altrui sublimitá solamente maraviglia, e non impeto di sdegno, ritrae, quello nega per lo piú di conoscere e di giustamente apprezzare se stesso; e, supponendosi le forze che egli avere vorrebbe, si destina egli pure alla sublime arte di scrittore. Quindi legge egli e rilegge; piú lingue impara e tutte le gusta; di ogni cosa si va facendo tesoro, tutti i generi tenta, in tutti pretende ed in nessuno primeggia; ma pure, cercando egli sempre ne’ libri altrui ciò che nel proprio ingegno e nel proprio sentimento non trova, perviene a farsi poi finalmente un certo capitaletto e a risplendere ed ardere, come secondario pianeta, di fiamma accattata. Costui, che dalla immensa fatica sua argomenta doverne riuscire immenso utile e diletto ad altrui, suol essere sempre assai piú orgoglioso e risentito che il vero e semplice grande. Corre tra questi due il seguente divario: il sommo stima se stesso, direi cosí, senza quasi avvedersene, e vie piú si estima nell’atto del comporre che poscia parlando o esaminando tutto ciò ch’egli ha fatto; il non sommo, col mostrar sempre agli altri un’altissima idea di sé, cerca d’ingannare se stesso, e di costringersi a credere di averla. Questi secondi vengono spessissimo dai vani giudizi del mondo preferiti a quei sommi. Sono questi i letterati protetti; e questi, in fatti, i proteggibili sono. Ad essi non è tuttavia negato il bello del tutto; ma è sempre un bello d’imitazione, in cui originalitá nessuna non li tradisce pur mai. Ma siccome la minor parte degli uomini sono i lettori, e siccome la piú gran parte dei lettori o non ha impulso veruno, o (come i piú degli scrittori, e massimamente moderni) da artificiale e debole impulso vien tratta; la fama che si ottiene da questi due cosí diversi impulsi scrivendo, viene per un certo tempo commista; ed anzi, [p. 219 modifica] quasi sempre il minore soverchia il massimo; cosí, per esempio, da molti, e dai piú dei letterati, si antepone a Tacito Livio. I proteggenti e i protetti e i proteggibili e i proteggendi e i moltissimi poco sententi, costoro tutti fanno eco tra loro, ogniqualvolta si tratta di porre in cielo quella tanto gradita mediocritá altrui, che in nulla non offende la loro.

A voler conoscere qual dei due impulsi movesse un dato scrittore, molte volte basta, senza quasi leggere il libro, il sapere chi fosse lo scrittore, ed in quali circostanze, tempi e luoghi ei scrivesse. Era egli nato libero, o fattosi tale? era egli sprotetto, indipendente, non bisognoso, di alto animo, di nobile e sano costume? Milita in favor suo gran probabilitá che egli allo scrivere s’inducesse, unicamente spinto dal proprio impulso naturale. Era egli, all’incontro, nato bisognoso e schiavo, cioè schiavo politicamente e civilmente? Era egli protetto, incoraggito e diretto? È da credersi che o egli sará stato mosso da impulso artificiale soltanto, o che egli avrá deviato, scambiato, menomato e appena qua e lá conservato il naturale suo impulso, in quei pochissimi squarci dove nessuno dei suoi tanti impedimenti gli avrá tolto di ascoltarlo e valersene. Ma in questi scrittori, se pur de’ tali ve ne possono esser fra i sommi, è sempre piú assai da compiangersi il vero scapito loro che non da godersi il falso nostro guadagno.

Cosí, nei nostri tempi e governi, a voler giudicare dei lumi filosofici e delle veritá che potrá contenere un nuovo libro, basta per lo piú di gettar gli occhi su la data del luogo in cui è stampato. Non dico perciò che, di dove i buoni ed utili libri stampare si possono, né tutti né i piú escan buoni; ma dico che lá dove i buoni stampar non si possono (cioè nei due terzi e mezzo di Europa) buoni al certo non potranno esser mai gli stampativi.

Io paragonerei il frutto di questi due impulsi, artificiale e naturale, alla diversitá dei metalli. Colla moneta di argento o di rame moltiplicata oltre modo, si perviene pure a comporre una somma che a pochissimo oro equivaglia. Ma non però mai talmente, che la piú corta e spedita via del poco e prezioso [p. 220 modifica] metallo non piaccia e non giovi assai piú che quel noioso novero e peso di tanta mondiglia. Cosí, non può esser mai paragonabile l’effetto d’una veritá fortemente lumeggiata dalla energica penna di un libero scrittore, acceso e sforzato dal naturale suo impulso, all’effetto di una veritá debolmente accennata, guasta, e in mille tortuosi giri ravvolta e affogata tra mille falsitá dalla timida penna di un dipendente scrittore, strascinato piú assai che spinto dall’artificiale suo impulso.

Chi vuole di ciò convincersi con gli esempi paragoni Racine, dove egli non parla di amore (passione sola matricolata nei nostri governi, e sola quasi dagli antichi sommi de’ piú bei tempi taciuta) lo paragoni, dico, ai tragici greci lá dove d’amore ei non parla, e dove egli non traduce dal greco; credo che si convincerá pienamente che quegli antichi greci, spinti da impulso naturale, senza altra protezione che l’amor della lode, né altra imitazione che il vero, inventavano e scrivevano per insegnare virtú, veritá e libertá ad un popolo libero, dilettandolo: in vece che il tragico francese, mosso da impulso artificiale, sotto la protezione e approvazione d’un principe, scriveva imitando e tremando; e quindi per dilettare e non offendere un popolo non libero e snervato, egli traduceva in tratti sdolcinati di amore i piú focosi e sublimi tratti della greca energia; tacitamente cosí confessandosi minore dei suoi modelli, non solo per le diverse circostanze, ma piú assai per proprio sentimento ed impulso.

Sia dunque l’artificiale impulso una delle tante false gemme del principato; e il mezzo sentir propagandovi, l’intero sentire vi vada egli, per quanto il può, soffocando. Ma il naturale divino impulso, o nelle repubbliche non impedito, faccia quegli uomini vie piú degni di libertá, con alti insegnamenti ed esempi; ovvero nel principato (ancorché rarissimamente sviluppare appieno vi si possa) soverchiando pure, quasi impetuoso torrente, ogni inciampo ed ostacolo, con l’avvampante sua luce quelle orribili tenebre squarci: e, con vie maggior fama per lo scrittor che l’adopera, vie maggior vantaggio procacci agli altri tanti suoi miseri ed oppressi conservi, a loro insegnando e la veritá [p. 221 modifica] e i lor dritti. Cosí, se non altro, un tal scrittore gli anderá preparando almeno a ricevere poi dal tempo (il quale ogni cosa giá stata finalmente pur riconduce) la loro perduta, o anche la non mai posseduta libertá, virtú e grandezza.