Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro quarto – Cap. III

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Libro quarto – Cap. III

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Del circuito, de lo spatio, et de la grandezza de le Città; de le forme, st figure de le Terre, et de le Mura, et del costume; de le cerimonie, et osservationi de gli Antichi, in disegnar le Città.

cap. iii.


N
Oi deliberiamo che e’ bisogni variare il circuito di essa Città, et il modo di distribuire le parti, secondo la varietà de luoghi, conciosia che alcuna volta si vede che e’ non si puo ordinare ne Monti uno disegno di muraglia o tonda, o quadra, o di che altra forma tu ti pensi che sia buona, con quella facilità che in una pianura aperta. Gli Architettori antichi nel cerchiare le terre di muraglia biasimarono le cantonate che escono fuori de diritti delle mura, credendo che esse giovassero più a gli nimici nel dare lo assalto, che a Terrazzani nel difendersi, et che le fussino debolissime a reggere contro a le percosse de le macchine da guerra: Et certo, per tradimenti, et per tirare le freccie, le giovano non poco a gli nimici, havendo essi massimo commodità di poter scorrere la campagna, et di ritirarsi. Niente dimeno le sono alcuna volta di grandissimo aiuto ne le Città di montagna, essendo poste a riscontro de le strade. A Perugia celebratissima Città, per havere ella i Borghi sparsi su per i Colli, non altrimenti che le dita de le mani, che si sporgono in fuori, se inimici vorranno dar l’assalto a la cantonata, poi che vi saranno andati con molta gente, non haranno donde assaltarla, et quasi messisi sotto una fortezza, non saranno bastanti a sostenere l’impeto de le cose, che [p. 85 modifica]gli saranno tratte, et la carica che verrà loro adosso. Et però non si deve tenere il medesimo modo di cerchiare le terre di mura in tutti i luoghi. Oltra questo dicono gli Antichi, che le Città, et le Navi non doveriano per alcun modo essere tanto grandi, che vote barcollassino, o piene non bastassino. Ma altri hanno voluto la loro Città piena, et pinza, pensando per questo, che ella fosse più sicura. Altri promettendosi una ottima speranza ne le cose che havessino a venire, si dilettarono di havervi grandissimi spatii. Altri forse proveddono con consiglio a la fama, et al nome de’ posteri. Imperoche la Città certo del Sole, edificata da Busiride, la quale chiamano Tebe, secondo che io truovo ne le storie de gli Antichi, girò venti miglia: Menfi diciotto miglia, et sei ottavi: Babilonia quarantatre miglia, et sei ottavi: Ninive miglia sessanta. Et furono alcuni, che rinchiusono tanto di terreno, che dentro al circuito de la Città ricoglievano da vivere per tutto l’anno. Quinci loderei io quello antico proverbio che dice, in tutte le cose si debbe servare ordine, et regola, et se e’ mi piacesse di gettarmi da una de le parti, mi getterei più presto a questa, che potessi commodamente ricevere la accresciuta moltitudine de Cittadini, che a quella che non può ricevere i suoi commodissimamente. Aggiugni che la Città non debbe esser fatta solamente per lo uso, et per la necessità de tetti, ma debbe esser fatta di maniera, che oltre a le cure civili, vi rimanghino grandissimi luoghi, et spatii per piazze, per corrervi con le carrette, per orti, et per spasseggiare, et per notare, et per simili ornamenti, et dilicatezze. Raccontano gli Antichi, Varrone, Plutarco, et altri, che i passati loro erano soliti di disegnare le mura de le Città con religione, et ordini sacri. Percioche, havendo prima presi lungamente gli Augurii, messi ad uno giogo uno Bue, et una Vacca, tiravano uno aratolo di bronzo, et si faceva il primo solco, con il quale disegnavano il circuito de le mura, stando la Vacca da lo lato di dentro, et il Bue da lo lato di fuora. I vecchi Padri, che dovieno habitare la terra, seguitavano lo aratro, et rimettevano nel fesso solco le smosse, et sparse zolle, et rassetandovele dentro, acciò non se ne spargesse alcuna; quando arrivavano a luoghi de le porte, sostenevano lo aratolo con le mani: Accioche la soglia de le porte rimanesse salda, et perciò dicevano che eccetto le porte, tutto il cerchio, et tutta l’opera era cosa sacra, et non era lecito chiamare le porte sacre. A tempi di Romulo, dice Dionisio Alicarnasseo, che i Padri antichi nel principiare le Città erano soliti, fatto il sacrificio di accendere il fuoco innanzi a loro alloggiamenti: Et per esso far passare il Popolo, accioche nel passare per le fiamme, gli huomini si purificassino, et si purgassino: Et pensavano che a cosi fatto sacramento non dovessino intervenire quelli che non erano puri, et netti. Queste cose dissono costoro. In altri luoghi io truovo, che seminando una polvere di terra bianca, ch’e’ chiamano pura, erano soliti disegnare la linea per luoghi de le mura. Et Alessandro in cambio di questa terra bianca, mancandoli ella nel disegnare la Città del Faro, tolse de la farina. La qual cosa diede occasione a gli Indovini di poter predire le cose future; percioche notati certi presagii simili, mediante i giorni natali de le Città, pensarono che e’ si potesse predire successi certi de le cose future. Appresso i Toscani ancora da libri de le loro osservationi erano ammaestrati, quali dovessino essere i secoli futuri, dal giorno natale de la loro Città: Et questo non da osservatione del Cielo, del che di sopra nel secondo libro dicemmo; Ma da i presi argomenti, et conietture de le cose presenti. Censorino racconta che essi scrissono in tale maniera: Gli huomini che nasceranno in quello stesso giorno, che si constituiscono le Città loro, quelli dico, che haranno vita lunghissima, daranno con il giorno della lor morte, fine al modello del primo secolo de la Città loro: Quegli ancora che da quel giorno in là rimarranno ne la Città, et che viveranno più tempo che gli altri, dimostreranno il termine del secondo secolo con il giorno de la lor morte: et cosi seguendo si andrà [p. 86 modifica]nando il tempo de gli altri secoli. Sono da gli Dei mandati portenti, per i quali siamo avertiti, in che tempo qualunque secolo finisca. Queste cose scrissero costoro. Et in oltre aggiungono, che i Toscani seppono con queste argomentationi molto bene i loro secoli; conciosia che e’ lasciarono scritto di questa maniera, che i loro primi quattro secoli dovevano durare ccntocinque anni l’uno; il quinto centoventitre; il sesto diciannove; et altrettanto il settimo; lo ottavo esser quello, nel quale si ritruovavano al tempo de gli Imperatori; et che il nono, et il decimo gli havevano ad avanzare: et da questi inditii pensavano non essere cosa ascosa, il sapere quali dovessino essere i secoli futuri. Et feciono coniettura, che Roma dovesse haver l’Imperio del tutto da questo, che in quel giorno che ella fu collocata, uno de nati nel medesimo giorno s’acquistò l’Imperio di lei. Et questo trovo che fu Numa. Imperoche Plutarco racconta che a diciannove dì di Aprile fu posta Roma, et nacque anco Numa. Ma quelli di Lacedemonia si gloriavano di non havere la loro Città cinta di mura. Percioche confidatisi ne le armi, et ne la fortezza de loro Cittadini, si pensavano esser assai fortificati da le leggi. Gli Egittii, et i Persiani, per il contrario, pensarono che e’ fusse bene cingere gagliardamente le loro Città di mura. Conciosia che et gli altri, et Ninive, et Semiramis ancora, vollono che le mura de le loro Città fussino talmente grosse, che in cima di quelle potessino passar duoi carri a un tratto, et le alzarono tanto alte, che passavano braccia settantacinque. Arriano racconta che le mura di Tiro erano alte braccia centododici, et mezo. Et sonsi trovati di quegli, che non si sono contentati di essere cinti di uno solo circuito di muraglia. I Cartaginesi cinsono la Città loro di tre circuiti di mura: Et Erodoto scrive che i Deiocei cinsono la Città Cebetana, ancor che ella fusse posta in luogo rilevato, di sette circuiti di mura. Ma noi che conosciamo trovarsi in esse mura difese gagliardissime, per difendere la salute, o libertà, essendoci superiori gli inimici, o per numero, o per fortuna; Non approviamo però il parere di costoro, che vollono le loro Città spogliate di mura; nè il parere di coloro ancora, che pare che ponessino ogni loro speranza di difesa ne le mura de la Città. Io nientedimeno acconsento a Platone; essendo naturalmente qualunque Città in ogni momento di tempo, sempre esposta a pericoli d’esser fatta suggetta; poiche da la natura, o da costumi,de gli huomini è dato, che nessuno nè in publico, nè in privato habbia mai posto termine a l’ingordo desiderio, che si ha, de lo havere, et del possedere più che quello, che si possiede; da la qual cosa principalmente è nata ogni ingiuria d’armi. Si che chi negherà che e’ non si debba aggiugnere guardie a le guardie, et forzificamenti? secondo che altrove habbiamo detto. Quella Città sarà più di tutte l’altre capace, che sarà tonda. Sicurissima quella che sarà cinta di mura interrotte hor in dentro, et hor in fuori, come dice Tacito, ch’era Hierosolima; Percioche e’ tengono per fermo che non si possa senza pericolo entrare infra due parti che sportino infuora; nè con certa speranza si possino accostar le macchine da guerra a le teste: avertiremo niente dimeno a pigliar le commodità, che ci si offeriscono a beneficio di esso castello, o terra: La qual cosa abbiam noi notata, che fecero gli Antichi, secondo la opportunità, et secondo la necessità de luoghi. Conciosia che Antio antica Città de’ Latini, per abbracciar il seno del lito mediante le reliquie de le antiche rovine, si dimostra essere stata molto lunga. Il Cairo sul Nilo dicono ancora che è molto lunga. Palumbrota Città de la India, in Grasii, scrive Metastene che fu lunga sedici miglia, larga tre, distesa a seconda de la fiumara. Il circuito de le mura di Babilonia dicono che fu quadrangolare. Et Memfi dicono che haveva le mura fatte a modo di uno D. Finalmente qualunque disegno di circuito tu ti approvi, Vegetio si pensa che e’ sia assai a bastanza per necessità de la cosa, se tu farai le mura tanto larghe, che duoi Soldati armati standovi a la difesa, possino [p. 87 modifica]riscontrandosi l’un ne l’altro, passare facilmente senza alcuno impedimento: Et se le saranno tanto alte, che accostatevi le scale, non vi si possa salire, et se le si faranno con la calcina, et con il murare tanto sode, che le non cedino a gli arieti, et a le macchine. Le macchine certamente sono di due sorti; una è quella, con la quale percotendo, et battendo si gettano a terra le muraglie. L’altra è quella, mediante la quale accostandosi a le mura, le si scalzano sotto, et si rovinano. Provederassi a l’una, et a l’altra in gran parte, non tanto con un muro, quanto con una fossa. Conciosia che in questo luogo non lodano la muraglia se ella non è fondata insino di sotto a l’acqua, o sopra di un saldo masso. Ma vogliono che essa fossa sia oltra modo larga, et oltra modo profonda: Percioche essendo cosi, impedirà a la testuggine andante, et a la Torre, o a simili altre macchine, il potersi accostare a la muraglia. Et ritrovata l’acqua, o il sasso, sarà certo fatica indarno il volervi far fotto Mine. Disputasi infra gli huomini di guerra, qual sia più utile cosa, o che i fossi stieno pieni di acqua, o vero asciutti; et si risolvono che primieramente si debba procurar a lo stare sano de gli habitanti. Dipoi lodano assai quei fossi, ne quali se per l’impeto del trarre vi sia dentro caduto cosa alcuna; ella si possa levare via in un subito, purgando detti fossi commodissimamente; accio quindi ripieni, non ne prestino la via a li inimici.