Della imitazione di Cristo (Cesari)/Libro III/CAPO XXXI

Da Wikisource.
XXXI. Del disprezzar ogni creatura per poter trovare il Creatore.

../CAPO XXX ../CAPO XXXII IncludiIntestazione 21 ottobre 2016 75% Da definire

Tommaso da Kempis - Della imitazione di Cristo (XIV secolo)
Traduzione dal latino di Antonio Cesari (1815)
XXXI. Del disprezzar ogni creatura per poter trovare il Creatore.
Libro III - CAPO XXX Libro III - CAPO XXXII
[p. 193 modifica]

CAPO XXXI.


Del disprezzar ogni creatura per poter

trovare il Creatore.


1. Signore, io son bene in bisogno di vie maggior grazia a poter colà pervenire, dove nè persona, nè cosa del mondo mi sia d’inciampo. Imperciocchè infino a tanto che alcuna cosa m’impaccia, io non posso liberamente volare a te. Ciò bramava colui, che diceva: Chi mi darà ale siccome di colomba, ed io volerò a riposarmi? Qual cosa è più quieta dell’occhio semplice? e chi più libero di colui, che niente desidera in terra? Fa d’uopo adunque oltrepassare ogni cosa creata, e al tutto uscire di se [p. 194 modifica]medesimo, e stare in altezza di mente, e veder te creatore di tutte le cose, niente avere che ti somigli. Or quando altri non sia d’ogni creatura spedito, non potrà liberamente intendere alle cose divine. E impertanto ci sono sì pochi contemplativi; perchè pochi sanno da’ manchevoli creati beni distaccarsi del tutto.

2. A ciò fa bisogno di singolar grazia, la quale sollevi lo spirito, e sopra di se stesso il rapisca. E se l’uomo non sia elevato di mente, e da tutte le creature disimbarazzato, e tutto unito con Dio; checchè egli sappia, checchè si abbia, poco è da prezzare. Egli sarà sempre picciolo, e giacerà al basso colui, il quale alcuna cosa reputa grande fuori di te solo, unico, immenso ed eterno bene. E pur tutto ciò che non è Dio è niente, e per niente dee essere computato. Egli è però gran differenza tra la sapienza d’uomo illuminato e divoto, e la scienza di cherico letterato e studioso. troppo è più nobile quella dottrina, che d’alto rampolla per divina infusione, di quella che con fatica per umano ingegno s’acquista. [p. 195 modifica]

3. Troverai molti che bramano la contemplazione; ma poi non s’ingegnano d’usar quei mezzi, che ad averla son necessari. Questo è grande impedimento, che noi ci fermiamo nelle immagini, e nelle cose sensibili; e poco è in noi di perfetta mortificazione. Io non so che sia ciò, nè da qual mania siamo agitati, nè che cosa noi pretendiamo, che ci pare aver nome di persone spirituali; e pure sì gran fatica, e tanto maggior sollecitudine adoperiamo per le fuggevoli, terrene cose; ed a quelle che si fanno dentro di noi, rade volte co’ sentimenti del tutto raccolti pensiamo.

4. Oh Dio! subito dopo piccolo raccoglimento, ci dissipiamo: nè bilanciamo le nostre operazioni con distretto giudicio. Dove giaccia l’affetto nostro non badiam punto; nè perchè in noi tutto sia sozzo, non ne sentiamo però dolore. Però che ogni carne avea guasta la propria via, pertanto ne seguitò l’universale diluvio. Essendo dunque l’interior nostro affetto assai guasto, fa pur bisogno, che l’azion susseguente (la quale mostra il difetto dell’interno vigore) sia [p. 196 modifica]pur corrotta. Dal cuor puro procedono frutti di buona vita.

5. Si cerca, quante cose altri abbia fatto; ma con quanta virtù, non si esamina sì sottilmente. Ci studiam di sapere se il tale sia forte, ricco, grazioso, abile, o buono scrittore, buon cantore, valente artefice; ma del quanto egli sia umil di spirito, quanto paziente e mite, da’ più non si ode parlare. La natura riguarda nell’uomo le cose di fuori, la grazia si volta a quelle di dentro. quella sovente s’inganna; questa spera in Dio, per non dar in fallo.